Come il giustizialista imputato diventa garantista
ANSA/ SANDRO CAPATTI
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Come il giustizialista imputato diventa garantista

L'ex comunista Cioni a Firenze. I grillini Nogarin a Livorno e Pizzarotti a Parma. Prima giacobini, poi indagati: e oggi chiedono il rispetto delle regole dello Stato di diritto

"A mia figlia Giulia, la più piccola, i compagni di classe domandavano: perché tuo padre non è in prigione? Nel tritacarne mediatico i giernali ti bollano come corrotto e gli amici scompaiono". È bellissima e illuminante l'intervista di Graziano Cioni al Foglio di oggi. Cioni, 70 anni, è stato un esponente del Pci-Pds-Ds-Pd toscano, assessore alla Sicurezza e alla vivibilità di Firenze: nel novembre 2008, da candidato a sindaco della città, venne travolto politicamente e umanamente da un'inchiesta e poi da un processo per corruzione per un progetto urbanistico sull'area fiorentina di Castello. 

Quell'inchiesta è appena terminata in nulla, in Cassazione. Ma Cioni ha vissuto quasi otto anni d'inferno. Oggi dice ad Annalisa Chirico, che lo intervista: "Io ero un giustizialista convinto. Che puttanata. Per me la legalità era un vessillo assoluto, una bandiera. Le garanzie? la presunzione d'innocenza? Non mi ponevo il problema. Quel che un magistrato fa è giusto per definizione".

Cioni ricorda il famoso discorso di Bettino Craxi: quello del luglio 1992, in piena Tangentopoli, quando in Parlamento il segretario del Psi chiamò in correità tutti i segretari di partito, dichiarando "spergiuro" chi avesse negato un finanziamento illecito. "Io ero un anticraxiano di ferro" dice oggi Cioni. "Votai per l'autorizzazione a procedere. Oggi non lo rifarei. Pensavo che Craxi avesse torto. Ho capito che avevamo torto noi".

Oggi che cosa dice Cioni della giustizia? "Le carriere dei pm e dei giudici vanno separate. L'assoluzione deve essere inappellabile: io sono stato scagionato da ogni accusa in primo grado, ma il pm è ricorso in appello così mi sono ritrovato nel fuoco incrociato di una contrapposizione tra giudici. La responsabilità civile dei magistrati resta una chimera: perché chi sbaglia non paga? Si dice: questo potrebbe frenarli. Ma allora un chirurgo che dovrebbe fare?". È un uomo folgorato sulla via di un processo

Induce sincera compassione umana, Graziano Cioni. La vita con lui è stata durissima e crudele, non soltanto dal punto di vista giudiziario. Ma il suo percorso mentale da giustizialista a garantista, per quanto straordinario e paradossale, e intimamente giusto, scuote l'animo. Anche perché ormai incarna in sé gli echi di una sconcertante regolarità

Perché, esattamente come lui, proprio in questo periodo approdano alla sponda garantista tanti ex giustizialisti. Sono sempre più numerosi i giacobini che, colpiti da un avviso di garanzia ed entrati loro malgrado nel circo mediatico-giudiziario, scoprono la violenza che hanno alimentato fino al giorno prima. E a quel punto saltano loro i nervi, diventano fragili, soffrono. Capiscono i disastri del populismo giudiziario.

Filippo Nogarin, sindaco grillino di Livorno, e Federico Pizzarotti, sindaco di Parma, indagati a diverso titolo, oggi rivendicano la correttezza del loro operato e si ribellano: rifiutano di seguire le regole del Movimento 5 stelle cui appartengono. Non si dimettono, dopo che il mantra grillino per anni è stato: "Fuori dallo Stato ogni indagato".

Attenzione: qui nessuno s'indigna. Ed è in buona misura scorretto fare quel che fanno certi esposnenti del Pd, che gridano strumentalmente allo scandalo per il cambio di fronte degli avversari grillini. Non pare corretta nemmeno la rivalsa di chi, nel centrodestra, osserva tacendo: come se fosse una consolazione, perché "ora tocca a loro". No, qui non si tratta nemmeno di contestare una doppia morale, o il doppiopesismo.

Chi crede di avere davvero nel sangue il rispetto delle regole dello Stato di diritto, in realtà, si stupisce soltanto che tutti costoro non lo abbiano capito prima. Che non abbiano compreso che l'errore è umano, e che anche l'errore giudiziario lo è. E pertanto che non c'è alcuna certezza, né una Verità assoluta e insindacabile. Né in una chiesa, né in un partito, né (tantomeno) in un tribunale.

Il problema è che non si può attendere di subire un'esperienza giudiziaria per comprendere che la presunzione d'innocenza va davvero utilizzata come una regola superiore, stellare. Che l'arresto in carcere deve essere l'ultima istanza, davvero. Che i giornali non possono devastare l'immagine di una persona. Possono porre problemi, ma non dare certezze. Quelle le ha soltanto Dio, se esiste.

Il problema è che il circuito mediatico-giudiziario, un unicum vergognoso, da Paese sottosviluppato, è un mostro che va affrontato collettivamente e contenuto, possibilmente annullato. Non lo si è fatto per troppi anni, per miope calcolo politico (con la sua intervista anche Cioni lo conferma, esplicitamente). Ma di calcoli politici si può anche soccombere.






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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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