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ANSA/MASSIMO PERCOSSI
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Non era Mafia Capitale (e qualcuno osò dirlo)

Dure condanne ma nessuna conferma del 416 bis. Già nel 2015 Panorama aveva sollevato dubbi sulla coerenza giuridica dell'associazione mafiosa

Fin dal gennaio 2015, quando ormai da un mese in tutte cronache giudiziarie aveva fatto la sua comparsa quel nome impegnativo e sinistro, “Mafia Capitale”, Panorama aveva mostrato qualche perplessità tecnica sulla coerenza giuridica della principale accusa rivolta contro una sequela d’indagati e arrestati nell’inchiesta romana su corruzione e appalti pubblici.

Oggi il processo si è concluso in primo grado con dure condanne, ma senza che la decima corte penale del Tribunale confermasse l’accusa del 416 bis, per nessuno dei 19 imputati (su un totale di 46) che la Procura romana aveva individuato come facenti parte di un’organizzazione criminale di stampo mafioso.

Quindi non è mafioso il neofascista Massimo Carminati, che pure è stato condannato a 20 anni di reclusione, e non lo è nemmeno Salvatore Buzzi, l’ex ergastolano per omicidio, poi redentosi e divenuto alfiere di alcune cooperative sociali (rosse) che a Roma e circondario facevano affari d’oro con gli immigrati (19 anni di carcere).

Tra i condannati, sebbene anch’egli assolto dall'imputazione di mafia, compare anche Luca Odevaine, già capo di segreteria del sindaco Walter Veltroni e poi divenuto responsabile del “tavolo per i mgranti”: 6 anni e 6 mesi di reclusione.

Adesso, come sempre in questi casi, dovremo aspettare le motivazioni della sentenza per capire dove e perché gli inquirenti hanno sbagliato, o esagerato prospettando una specie di "416 bis alla romana".

Certo, oggi tornano alla mente le parole del difensore di uno dei condannati, il consigliere regionale del Pdl Luca Gramazio (11 anni); intervistato da Panorama nell’ottobre 2015, l’avvocato Giuseppe Valentino aveva negato tutte le accuse, ma sull’associazione mafiosa si era inalberato con forza particolare: “Che mafia è quella che non usa le pistole ma il denaro per persuadere e corrompere? Qui c’è tutt’al più un sottobosco romano, un autentico suk, dove pullulano chiacchieroni e millantatori”.

È evidente che l'avvocato Valentino almeno su quel punto aveva ragione: di certo, Cosa nostra, la 'ndrangheta e la camorra napoletana, cioè le associazioni mafiose che tutti noi purtroppo conosciamo, usano mezzi intimidatori molto più violenti di quelli utilizzati dagli imputati di Mafia Capitale

Ma oggi, dopo l'assoluzione da quell'accusa, tornano alla mente anche i fischi con i quali alcuni giornali-bandiera del populismo giudiziario avevano accolto quanti (su Panorama, ma anche sul Foglio o sul settimanale Tempi) a suo tempo mostravano perplessità per l’ipotesi “mafia a Roma”. Contro chi aveva osato scrivere che “l’associazione criminale che gravitava attorno a Salvatore Buzzi e a Massimo Carminati non può essere neppure lontanamente paragonata alla mafia. Non ci sono le pistole, l’omertà, l’organizzazione verticistica, il vincolo associativo…”.

Nessuna polemica. Leggeremo le motivazioni. Solo il tempo di ricordare che in un altro primo grado, il 3 novembre 2015, c’era stata una sentenza anticipata, pronunciata in uno stralcio di processo per un imputato minore della grande inchiesta Mafia Capitale: Emilio Gammuto, accusato dalla Procura di Roma di corruzione e di associazione mafiosa, era stato condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione per entrambi i reati.

In quel caso, i giornali-bandiera di cui sopra avevano brindato alla condanna, sbeffeggiando i garantisti d'accatto che si ostinavano a non vedere quanta mafia ci fosse nell'inchiesta.

Gammuto era stato processato in anticipo rispetto al gruppone dei suoi colleghi imputati perché aveva scelto la formula del procedimento abbreviato. E la sua condanna (arrivata quasi un anno dopo l’emersione dell’inchiesta) era parsa confermare in pieno l’impianto accusatorio. Invece, lo scorso gennaio, in Corte d’appello Gammuto era stato assolto dal 416 bis.

Si vedrà per tutti in Cassazione.

Si vedrà anche se domattina, su certi giornali-bandiera, la sentenza della decima sezione penale di Roma verrà "rispettata e non criticata": sarebbe una delle auree (ed eccessive) leggi del populismo giudiziario. Ma si sa come finiscono certe cose...

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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