Quanta ipocrisia sulla Bossi-Fini
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Quanta ipocrisia sulla Bossi-Fini

I barconi, gli scafisti ed i morti ci sarebbero stati lo stesso. Quindi, perché questa polemica? - le promesse della Kyenge -

Sui poveri morti di Lampedusa, che alla fine delle drammatiche operazioni di recupero saranno anche più di 300, si è acceso un indecoroso gioco alla strumentalizzazione politica. Molti esponenti della sinistra, oggi, dicono che quel disastro è un colpevole risultato della legge Bossi-Fini e del contrasto all’immigrazione clandestina. 

Viene da domandarsi che cosa sarebbe accaduto di diverso se la Bossi-Fini non fosse mai esistita: gli immigrati avrebbero comunque tentato la difficile traversata e i 500 disperati a bordo (come le migliaia passati per il Mediterraneo prima e dopo di loro), si sarebbero comunque affidati a quei criminali che comunemente chiamiamo «scafisti». 

Se poi fosse vero che altri paesi mediterranei hanno sistemi di contrasto meno «duri» del nostro, perché allora le barche di disgraziati puntano verso l’Italia? In realtà, è noto, a Malta li ricacciano indietro. Potrebbero però tentare la rotta della Spagna, della Grecia. Invece no: mettono la prua sull’Italia. È masochismo? Non è solo perché la Sicilia è più vicina: e anche perché alla fine sperano di trovare più aiuto qui che altrove, perché in Spagna e in Grecia i sistemi per la repressione dell’immigrazione sono più severi e concreti del nostro. 

Se poi è proprio vero che due pescherecci italiani abbiano negato aiuto ai naufraghi nel momento in cui la nave era in vista e stava incendiandosi, i loro capitani non hanno scelto di ignorare il disastro per non essere incriminati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Non è quella la logica che può determinare un comportamento orribilmente omissivo, visto che poi altri natanti privati quella stessa notte sono intervenuti per trarre in salvo i poveri naufraghi. Sempre che i pescherecci si siano effettivamente comportati in modo tanto odioso, il disincentivo a intervenire non è la sanzione prevista dalla legge: semmai è l’egoismo, l’indifferenza, l’ignoranza. 

Insomma, l’abolizione della Bossi-Fini non avrebbe modificato in alcun modo la sorte dei poveri affogati o dei sopravvissuti: la loro nave si sarebbe comunque rovesciata. Va aggiunto, a scanso di equivoci,  che la legge stabilisce che «non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizione di bisogno comunque presenti nel territorio». La legge Bossi-Fini non contiene alcuna disposizione che imponga di indagare i soccorritori; mentre sono i principi generali del diritto penale a indicare sempre l'obbligo di soccorso verso le persone in pericolo di vita.

Di più: lo stesso Partito democratico che oggi si straccia le vesti e chiede a gran voce di depenalizzare la Bossi-Fini è lo stesso identico partito che al Senato, nel votare lo scorso 5 giugno la legge-delega per la riforma del sistema sanzionatorio, ha chiesto (attraverso il relatore Felice Casson) di escludere dalla depenalizzazione alcuni reati: quelli in materia edilizia e urbanistica, quelli in materia di ambiente, territorio e paesaggio, e anche (ma guarda un po') proprio i reati in materia di immigrazione. Quindi la Bossi-Fini. Ce n’è abbastanza per parlare di ipocrisia?

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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