Intercettazioni: ecco cosa ne pensano gli esponenti di destra e sinistra
Ecco il dialogo pubblicamente aperto tra Carlo Nordio, procuratore aggiunto a Venezia, e Giuliano Pisapia, oggi sindaco di Milano, ex presidente della commissione Giustizia della Camera per Rifondazione comunista
Dall’introduzione del libro «La Gogna: come i processi mediatici e di piazza hanno ucciso il garantismo in Italia» (Boroli editore, pagg. 174, 14 euro), scritto da Maurizio Tortorella.
La questione dell’abuso giornalistico delle intercettazioni, purtroppo, è divenuta un moloch difficilmente maneggiabile. Varie proposte per la revisione della materia si sono arenate, se non infrante, contro questo ostacolo: pare ormai che anche il minimo intervento sia impossibile. Eppure c’è una sensibilità parallela, nei due schieramenti. Lo dimostra bene il dialogo pubblicamente aperto tra Carlo Nordio, procuratore aggiunto a Venezia, e Giuliano Pisapia, oggi sindaco di Milano, ma anche avvocato penalista ed ex presidente della commissione Giustizia della Camera per Rifondazione comunista.
Nordio e Pisapia sono stati alla guida di due successive commissioni per la riforma del codice penale: il primo per tre anni, dal 2001 al 2004, nominato da un governo di centrodestra; il secondo nel biennio 2006-2007, nominato da un governo di centrosinistra. Ecco che cosa pensano della questione: «È ovvio che le intercettazioni debbano restare chiuse nei fascicoli giudiziari fino alla conclusione delle indagini preliminari» sostiene Pisapia «e non devono essere pubblicate sui giornali come fossero un feuilleton. Sono fermamente convinto che la pubblicazione d’intercettazioni telefoniche, e soprattutto delle conversazioni che riguardano chi non è coinvolto nelle indagini o che trattano argomenti privati, sia una barbarie: è come spiare dal buco della serratura e amplificare su un megaschermo quelle immagini, legalmente carpite. È un’incivile violenza, e vorrei tanto che su questo riflettessero coloro che oggi decidono queste pubblicazioni e che domani potrebbero esserne le vittime».
D’accordo con questa valutazione, Nordio aggiunge una critica ficcante: «I magistrati sono responsabili di una gestione sapiente di atti istruttori di cui dovrebbero garantire la segretezza e di cui invece consentono, per vanità o per noncuranza, una divulgazione pilotata. E i giornalisti sono corresponsabili, perché barattano sensazionali anticipazioni in cambio di articoli elogiativi sull’abilità degli investigatori.Ma sviliscono il loro mestiere, perché invece di cercare notizie con faticose ma stimolanti controinchieste, preferiscono appoggiarsi alla mano amica di un poliziotto o di un magistrato. Così, come tutti sanno, prima ancora che in tribunale le intercettazioni finiscono, giudiziosamente tagliate e sapientemente pilotate, sulle pagine dei giornali».
«La colpa» sostiene Nordio «sta in tutti noi, che abbiamo accettato questa porcheria senza un esame critico delle sue conseguenze civili e morali. Forse perché, abituati per secoli all’umiliazione dei sudditi, non abbiamo ancora acquistato il vigore dei cittadini». E Pisapia, con altrettanta chiarezza: «Ho l’impressione che molti non vogliano vedere la barbarie e chiudano in maniera pregiudiziale la porta in faccia a qualsiasi cambiamento. Molti, non so se in buona o in cattiva fede, tendono a confondere il diritto-dovere d’informare con il preteso diritto di commettere reati; confondono la libertà di stampa con la libertà di diffamare, di disinformare, di ‘sputtanare’. Non ci sono scappatoie: il dibattimento deve essere pubblico, ma le indagini non sono pubbliche e i relativi atti, comprese le intercettazioni, non sono pubblicabili proprio a garanzia della genuinità delle indagini. È inaccettabile che sui giornali arrivino ogni giorno testi di interrogatori, testimonianze, parole carpite da intercettazioni. Usare un frammento di notizia, come spesso si fa sui quotidiani italiani, significa dare un’informazione fuorviante».
Conclude Nordio: «Chi maneggia questo strumento abominevole alimenta con carne umana il coccodrillo, nella speranza che mangi il proprio avversario, senza sapere che alla fine il coccodrillo mangerà anche lui. Governo e Parlamento non hanno mai fatto nulla. Adesso, prospettando la punizione dei giornalisti che pubblichino conversazioni intercettate, si getta solo benzina sul fuoco perché non si rompe il termometro per eliminare la febbre. I giornalisti sfornano un prodotto già confezionato da magistrati, avvocati, poliziotti. Ed è lì che bisogna intervenire».
Più chiaro e più bipartisan di così, si muore.