Due domandine a Ingroia, sulle sue domande a Napolitano
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Due domandine a Ingroia, sulle sue domande a Napolitano

L’ex pm palermitano, sul "Fatto", interroga a modo suo il capo dello Stato sulla "trattativa Stato-mafia". E stupisce una volta di più

Ogni volta che Antonio Ingroia parla o scrive, ingenera stupore. Oggi, a pagina 7 del Fatto Quotidiano, l’ex pubblico ministero palermitano (datosi alla politica senza troppa fortuna nel 2013 con Rivoluzione civile e oggi avvocato nonché funzionario-manager della Regione Siciliana) elenca le domande che martedì 28 ottobre vorrebbe porre a Giorgio Napolitano, al Quirinale, se fosse lui a interrogarlo come teste nel processo sulla presunta trattativa fra Stato e mafia.

Già alla prima domanda, però, emerge un fatto stupefacente. Perché in quel quesito Ingroia lascia intendere senza pudore di utilizzare la sua personale consapevolezza di quanto affermato dal capo dello Stato nelle telefonate con Nicola mancino, ex ministro dell’Interno: quelle telefonate, intercettate indebitamente dalla Procura di Palermo, furono fatte distruggere dalla Corte costituzionale. Chissà, però, forse qualche inquirente le ascoltò... Chiede infatti Ingroia a Napolitano (testualmente): "Perché lei assicurò il suo interessamento, facendo intendere a Mancino che avrebbe assecondato il suo disegno di sottrarre alla Procura di Palermo la direzione dell’indagine sulla trattativa?".

Segue, e a sua volta stupisce non poco, una grave insinuazione di Ingroia: là dove parla di Loris D’Ambrosio, il consigliere giuridico di Napolitano che era stato intercettato al telefono, sempre con l’ex ministro Mancino, e che nel giugno 2012 aveva indirizzato al capo dello Stato una drammatica lettera nella quale accennava alla trattativa, ed era poi morto d’infarto nel luglio successivo, al culmine di una dura campagna di stampa che in termini infamanti lo aveva collocato in una «zona grigia» (così si lamentava lo stesso D’Ambrosio nella lettera), tesa a interferire con la ricerca della verità. Nel suo scritto di oggi, Ingroia mette in dubbio quell’infarto: «Se solo crepacuore fu» si domanda sorprendentemente «visto che non è mai stato disposto alcun accertamento medico-autoptico…».

Ecco quindi due domandine per Ingroia.

Domanda n° 1. È giusto che un ex alto magistrato utilizzi per la polemica politica fatti o atti dei quali è venuto a conoscenza per la sua funzione professionale, e distrutti per ordine della Corte costituzionale?

Domanda n° 2. È giusto che un ex alto magistrato insinui che un consigliere del capo dello Stato non sia morto di morte naturale, ma per qualcosa che ha visto o saputo nel suo ruolo accanto al presidente della Repubblica, lanciando così un’ombra inquietante sul Quirinale?

Domanda n° 3. Non a Ingroia, ma a tutti noi: ma che giustizia è, davvero, quella italiana?

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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