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Chip Somodevilla/Getty Images
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Virginia: la destra suprematista americana che Trump non condanna

A Charlottesville una pacifista muore investita da un razzista bianco. Ma il presidente non prende posizione. Prigioniero politico di Bannon e Duke

UPDATE: Ci sono volute 48 ore. Poi Donald Trump ha ceduto e si è deciso a condannare esplicitamente Ku Klux Klan, suprematisti bianchi e neonazisti, citandoli per nome e definendoli "ripugnanti". Ma ci ha messo due giorni. Ecco perché non lo ha fatto prima come abbiamo spiegato in questo articolo pubblicato il 13 agosto, a poche ore dagli scontri (con morto) di Charlottesville.

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In molti si ricorderanno del Generale Lee. Era l’auto color arancione dei cugini Duke nella famosissima serie tv Hazzard.

L’azione si svolgeva nell’America bucolica di una contea immaginaria del Grande Sud, dove Bo e Luke, fieri sudisti dal cuore d’oro, a bordo del Generale Lee, al quale avevano saldato le portiere, sconfiggevano bande di criminali spesso in combutta con le corrotte autorità cittadine, come “Boss” Hogg e lo sceriffo, un po’ scemo, al suo servizio.

Sarà solo una casualità ma il Generale Lee era un Dodge Charger, lo stesso modello d’auto sportiva che ieri ha travolto la folla pacifica di contromanifestanti a Charlottesville, Virginia, uccidendo una giovane donna di 32 anni e facendo numerosi feriti.

E il Generale Robert E. Lee, quello vero (l’eroe degli Stati Confederati che persero la guerra civile contro gli Yankee del nord), era proprio la materia del contendere dal momento che per protestare contro la rimozione della sua statua, la destra americana si è data appuntamento nel cuore della Stato.

La violenza razziale

D’altronde la favola del sud fieramente indipendente e allergico alle regole dei federali si era già infranta nel 2015, quando Dylann Roof, un giovane suprematista bianco, entrò in una chiesa di Charleston, in Sud Carolina, e uccise con un fucile nove persone di colore nella speranza di scatenare una guerra razziale.

Quando le autorità, per placare gli animi, vietarono l’esibizione della bandiera dei confederati e i negozi di giocattoli smisero di vendere il modellino arancione del Dodge “Generale Lee”, l’America capì che dalla fiction televisiva si era passati a una ben più dura realtà.

Coincidenze e contiguità

Sarà un’altra coincidenza, ma il principale esponente della destra suprematista americana e membro di spicco del Ku Klux Klan, di cognome fa proprio Duke, di nome David, ed un’ombra costante nella vita politica di Donald Trump.

Il Presidente, va detto, ne ha sempre preso le distanze, ma ugualmente non può scrollarsi di dosso la consapevolezza che i seguaci di Duke, come il tribuno non perde occasione per rinfacciargli pubblicamente, hanno votato tutti per lui.

Trump: l’ennesimo errore

Ecco perché ieri, dopo il primo tweet passato indenne dal fuoco dei media, nel quale il Presidente invitava gli americani ad essere “una cosa sola”, nelle successive dichiarazioni Trump ha come al solito steccato, non menzionando mai i suprematisti bianchi e richiamando alla calma entrambe le parti.

Come se le formazioni neo-naziste e le sigle razziste che vogliono impedire la rimozione della statua di Lee possano essere paragonate a chi è sceso in strada per protestare contro questa esibizione di odio razziale e orgoglio del “white power”.

In serata, due poliziotti a bordo di un elicottero sono morti, facendo salire a tre il numero delle vittime di un sabato nel quale l’America guardava alla sperduta isola di Guam e al ciuffo ribelle di Kim Jong-un, ignara che l’incendio stesse per divampare nel cortile di casa. Il Governatore della Virginia, Terry McAuliffe, ha dichiarato lo stato di emergenza e ha intimato a tutti gli esponenti dell’estrema destra di ritirarsi: “Go home, shame on you”. Vergogna.

La Destra che viene da lontano

Non è la prima volta che la Nazione si sente colpita alle spalle dalla destra radicale. Accadde nel 1995 a Oklahoma City quando il camion fatto esplodere dal fanatico ariano Timothy McVeigh uccise 168 persone e ne ferì 680. Fu il più tragico atto terroristico entro i confini americani prima dell’11 settembre.

McVeigh e il suo complice, due veterani della prima Guerra del Golfo, volevano colpire un edificio federale per vendicare le morti, prima in Idaho e poi a Waco, Texas, di esponenti di sette religiose su base razzista, causate dalla repressione dell’FBI.

L’altra grande ondata di destra, che pervase la cultura americana, fu l’ascesa al potere di George W. Bush e dei suoi consiglieri. L’idea di esportare la democrazia ad ogni costo (anche quello di mentire all’ONU sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein) fece disastri nel mondo post Ground Zero.

Ma almeno Bush jr. aveva in squadra Condoleezza Rice e Colin Powell, due neri in posizione chiave e d’indubbia levatura che, in qualche modo, aprirono il percorso alla prima presidenza afro-americana della storia: quella di Barack Obama.

Steve Bannon, l'uomo del KKK nell'amministrazione Trump

Se il cattivo dell’amministrazione Bush era Paul Wolfowitz (e la sua dottrina), era almeno un cattivo presentabile. Con Trump il cattivo di turno è Steve Bannon, suprematista bianco della prima ora e oggi Capo della strategia del Presidente alla Casa Bianca. Guarda caso, Bannon è uno dei pochi collaboratori a non essere ancora stato licenziato.

Forse per questo stamane i principali commentatori non risparmiano critiche a Trump. Ci si chiede perché un Presidente di solito così fantasioso in epiteti denigratori contro Hillary Clinton, James Comey, John McCain, Jeff Sessions, il Partito Repubblicano e i media, non riesca a nominare la destra americana per ciò che essa è – xenofoba, razzista e violenta – apparendo quindi psicologicamente prigioniero dei propri tabù.

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Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

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