trump-putin
MLADEN ANTONOV/AFP/Getty Images
News

Trump e Putin: di cosa discuteranno al G20

Medio Oriente, Nato, ma soprattutto Corea del Nord. Ecco i temi sul tavolo dei due leader e decisivi per gli equilibri mondiali

L’incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin in scena ad Amburgo in occasione del G20, ha il sapore del momento decisivo.

Tanti gli argomenti da discutere tra i due leader mondiali, a cominciare dalla ridefinizione dei confini in Medio Oriente e relative zone d’influenza, per poi passare al ruolo della NATO in Europa dell’Est fino ad arrivare alla questione delle sanzioni economiche seguita all’occupazione russa della Crimea del 2014. Ma un argomento su tutti sembra avere ormai il carattere d’urgenza e s’imporrà come argomento principale nel faccia a faccia previsto tra i due presidenti: la crisi in Corea del Nord.

LEGGI ANCHE: Perché gli Usa non attaccheranno la Corea

La crisi coreana

Le provocazioni militari del giovane leader nordcoreano Kim Jong un, che continua a testare vettori balistici nel Mar del Giappone per portare avanti la retorica del nemico americano (utile al regime per tenere stretto a sé un popolo affamato e isolato dal resto del mondo), sono divenute infatti una priorità. E non solo per l’Amministrazione Trump.

Nelle ultime settimane, infatti, Pyongyang ha costretto le amministrazioni di Stati Uniti, Russia e Cina a concentrare l’attenzione su di sé a suon di lanci sempre più efficaci, e il Consiglio di Sicurezza ONU a mettere in agenda una possibile strategia d’uscita da quella che si profila come una sorta di nuova crisi dei missili, dopo quella del 1962 a Cuba che portò Usa e Russia vicine a un conflitto aperto.


Davvero siamo di fronte a una seconda crisi mondiale? Il paragone può suonare improprio perché i termini sono molto diversi, ma i presupposti di una tragedia ci sono tutti. Nel senso che l’artiglieria di Kim Jong un ha messo i leader delle superpotenze mondiali spalle al muro e presto metterà a nudo le relative politiche estere.

Cosa vuole fare l'America

Dal punto di vista americano, Trump non può lasciare che Pyongyang minacci direttamente i suoi alleati giapponesi e sudcoreani, tantomeno può rischiare di vedersi piombare un missile intercontinentale in Alaska o sopra le Hawaii. Se il danno materiale sarebbe alquanto limitato, quello d’immagine sarebbe certo devastante per la Casa Bianca, e tale da costringere Washington a reagire militarmente.

Ma nessuno desidera veramente questo scenario, soprattutto al Pentagono. Perché questa guerra, senza entrare nei dettagli, provocherebbe migliaia di morti prima di riuscire ad annientare completamente la minaccia. "Sarebbe probabilmente il peggior conflitto della nostra vita" ha ammesso cupo il Segretario alla Difesa, James Mattis.

Ma per capire che aria tira sul 38esimo parallelo, che separa il Nord dal Sud della penisola coreana, basta ascoltare le parole del generale Vincent Brooks, capo delle forze armate americane in Corea del Sud, che ha parlato in toni drammatici nelle ultime ore, asserendo che "l’autocontrollo è tutto ciò che separa l’armistizio della guerra".

Il punto di vista russo e cinese

Dal punto di vista del Cremlino, questa crisi è un’occasione d’oro da sfruttare. Anzi, non stupirebbe se dietro alle continue provocazioni di Pyongyang ci fosse il tacito placet proprio di Mosca e Pechino.

- LEGGI ANCHE: L'Eurasia di Putin, spiegata bene

Vladimir Putin ha inaugurato il suo terzo mandato da presidente all’insegna di una politica estera quanto mai aggressiva, che si è sostanziata nell’espansione in Europa, in Medio Oriente e nel Mediterraneo, complice la debolezza dell’Amministrazione Obama.

Raggiunti tutti gli obiettivi che si prefiggeva, oggi Putin gode nel vedere destabilizzato il Pacifico, dove Mosca non ha interessi cogenti se non nella tutela dell’amicizia con Pechino. Che da parte sua, teme la linea politica tracciata da Donald Trump che nei prossimi quattro anni del suo mandato punta a marginalizzare il peso economico della Cina in favore degli Stati Uniti.

Per questo, la Cina finge di ammonire la Corea del Nord e lascia invece che prosegua nelle sue intemerate, convinto (così come Putin) che nessuno alla Casa Bianca sia tanto folle da arrischiarsi in una guerra titanica per ottenere un vantaggio limitato.

Tanto per dire, il 90% degli scambi commerciali di Pyongyang sono con Pechino e, come ha sottolineato lo stesso Donald Trump "L’interscambio tra Cina e Corea del Nord è cresciuto di quasi il 40% nel primo trimestre. E pensare che la Cina aveva detto di voler lavorare con noi". Inoltre, secondo fonti dell’ONU, anche i camion lanciarazzi utilizzati per mandare in orbita i missili intercontinentali sono di fabbricazione cinese.

- LEGGI ANCHE: Cina e Corea del Sud, i rapporti spiegati bene

La mano tesa di Putin a Trump

Così, al G20 Vladimir Putin potrebbe decidere di tendere cordialmente una mano a Donald Trump, che ha imboccato una stretta e impervia via in Asia, per uscire dalla quale non basteranno soluzioni raffazzonate come nuove sanzioni economiche.

Prima del vertice di Amburgo, il presidente russo ha ospitato a Mosca il suo omologo cinese, Xi Jinping, con il quale ha stretto un’alleanza "speciale" che adesso li vede "insieme per le sfide del mondo". Dunque, Russia e Cina sono ora allineati nell’impostazione di una strategia geopolitica che ha già visto i suoi effetti al Consiglio di Sicurezza ONU, convocato questa settimana proprio per la crisi coreana.

In quell’occasione l'ambasciatore di Mosca, Vladimir Safronkov, ha detto che "le sanzioni non risolveranno la crisi nordcoreana e non possono essere la soluzione". Così pure ha fatto sapere il rappresentante cinese, su cui gli americani avevano inizialmente sperato, sostenendo che "anche la Cina è contraria a ogni ipotesi di sanzioni". Questo isola definitivamente gli Stati Uniti, che ora si trovano a dover tracciare una nuova linea rossa, superata la quale le possibilità restano soltanto due: entrare in guerra o ritirarsi come fece Barack Obama dopo aver tracciato la “red line” sulle armi chimiche in Siria.

L’ora delle decisioni

Ed è qui che Vladimir Putin può fare la differenza e “salvare la faccia” alla presidenza Trump: egli ha la forza negoziale e la capacità diplomatica per convincere Pechino a far fare marcia indietro alla Corea del Nord e a cessare ogni ulteriore provocazione. Come? Attraverso aiuti economici o con la rimozione dello stesso Kim Jong Un. Ma questo avrà un prezzo politico altissimo per l’America. E chi passerà all’incasso? La Russia di Putin, che otterrà mano libera in Medio Oriente, il consenso all’annessione della Crimea e la fine progressiva delle sanzioni economiche a suo carico.

Donald Trump al G20 dovrà decidere se vale la pena pagare quel prezzo, e poi dovrà comunicarlo a Vladimir Putin. Altrimenti, come ha riferito all’ONU l'ambasciatrice USA, Nikki Haley, gli Stati Uniti «andranno per la loro strada». Il che per l’America, specialmente in Asia, non si è mai dimostrata una buona scelta.

I più letti

avatar-icon

Luciano Tirinnanzi