Trump costretto a firmare le sanzioni alla Russia
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Trump costretto a firmare le sanzioni alla Russia

Il presidente americano sottoscrive la legge approvata al Congresso. Un boccone amaro che rischia di incrinare le relazioni con Putin

Donald Trump ha dovuto firmare la legge approvata con maggioranza schiacciante dal Congresso americano e che introduce nuove sanzioni alla Russia, Iran e alla Corea del Nord. Lo ha fatto pur dichiarando la "legge imperfetta", ma lo ha fatto.

La firma è infatti avvenuta a porte chiuse, senza le solite foto di rito davanti ai fotografi e alle telecamere, sorriso e faccia soddisfatti. Questa volta no, a conferma dell'ostilità del presidente americano. Un'ostilità che nasce dalla consapevolezza di aprire una crepa con Vladimir Putin, il presidente russo, con cui a Tallin sembrava esserci una relazione di amicizia e cordalità fuori dal comune.

Le sanzioni decise dal Congresso

Dunque via libera alle nuove sanzioni alla Russia, la "punizione" per le presunte interferenze nelle elezioni americane del 2016 e per gli interventi aggressivi in Ucraina e Siria.

In tutta risposta, Mosca ha cacciato 755 diplomatici americani dai suoi confini, decretando così la fine dell'allenza con Donald Trump, forse mai iniziatae ha tolto agli Stati Uniti l'uso di alcuni immobili invocando "il principio di reciprocità".

Inoltre, dall'1 agosto "sospende l'uso da parte dell'ambasciata americana in Russia di tutti i magazzini in via Dorozhnaia a Mosca e della dacia a Serebrianij Bor".

Nel comunicato, il ministero degli Esteri russo definisce le sanzioni "un ricatto mirato a limitare l'interazione dei partner stranieri con la Russia" che "contiene in sé minacce per molti paesi e per l'imprenditoria internazionale".

Linea dura

È stata la neonominata portavoce della Casa Bianca Sarah Huckabee Sanders a confermare la svolta dopo l'accordo raggiunto a Capitol Hill per un disegno di legge pronto per il voto: "L'amministrazione è d'accordo con l'essere duri verso la Russia, in particolar modo nell'adozione di sanzioni - ha detto - il testo originario era scritto male, ma siamo stati capaci di lavorare con Camera e Senato per apportare i cambiamenti necessari".

Un chiaro tentativo di stemperare le tensioni e sviare l'attenzione. Una decisione che sarà anche costata al presidente, visto che fino ad ora il suo "No" sembrava essere irremovibile, soprattutto per non farsi "scavalcare" dal Congresso nel dettare la linea sulla politica estera, e sulla Russia poi, dossier su cui aveva promesso per l'America il definitivo cambiamento di rotta con il suo ingresso alla Casa Bianca. Un'intransigenza che Trump ha evidentemente deciso di smussare, evitando un potenziale showdown con il Congresso difficile da gestire con le inchiesta sul Russiagate in corso, che per l'opposizione è una bomba ad orologeria già innescata.

Il Russiagate a una possibile svolta

Restano intanto delusi coloro che già vedevano Donald Trump Jr sul banco degli imputati e in diretta tv. Il figlio primogenito del presidente è atteso in Senato, chiamato a testimoniare presso la commissione Giustizia su quell'incontro nel giugno 2016 con un'avvocatessa russa nella convinzione che questa avesse materiale compromettente su Hillary Clinton.

L'audizione non sarà però pubblica come richiesto in un primo momento, bensì a porte chiuse. Risultato di una trattativa in cui Donald Jr (e l'ex manager della campagna di Trump, Paul Manafort, pure chiamato a testimoniare) ha garantito massima collaborazione, al momento con la consegna di diversi documenti.

E a porte chiuse parlerà anche il genero del presidente Donald Trump, Jared Kushner.

Il marito di Ivanka è riuscito fino ad ora, pur nell'occhio del ciclone, a non proferire parola pubblicamente: nessuna intervista, nessuna dichiarazione strappata a margine, e al Congresso, appunto, tutto a porte chiuse.

In questo clima giunge da Mosca la conferma ufficiale dell'uscita di scena dell'ambasciatore russo negli Usa Serghiei Kislyak - uno dei personaggi più implicati nel Russiagate a partire dal primo tassello che aveva innescato l'effetto domino: le dimissioni di Michael Flynn perché aveva mentito sui suoi contatti proprio con il diplomatico - con la comunicazione della fine del suo mandato a Washington.

Il suo successore non è stato ancora nominato ufficialmente anche se ci si aspetta che sia Anatoly Antonov, vice ministro degli Esteri ed ex vice ministro della Difesa, considerato esponente dell'ala dura verso gli Stati Uniti.

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