L'attentato contro i fedeli della sinagoga di Gerusalemme
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L'attentato contro i fedeli della sinagoga di Gerusalemme

Dopo l'attacco che ha provocato la morte di sei fedeli ebrei nella capitale israeliana, torna lo spettro di una nuova intifada palestinese

Sei morti e almeno otto feriti di cui quattro in gravi condizioni tra i fedeli israeliani, e i due attentatori palestinesi uccisi dalle forze di sicurezza di Tel Aviv. L'attacco, avvenuto questa mattina all'interno di una sinagoga di Gerusalemme est ad opera di un commando  armato di pistole, asce e coltelli, segna secondo Hamas «un salto di qualità nelle pratiche di resistenza all'occupazione». Un salto di qualità determinato «dalla chiusura della spianata delle Moschee» e dalla misteriosa morte di un autista di autobus palestinese, trovato impiccato sul mezzo pubblico che stava guidando. Sulle cause della sua morte, un suicidio per gli israeliani e un'esecuzione per i palestinesi, hanno litigato furiosamente persino gli anatomopatologi dell'uno e dell'altro fronte.

L'attentato di questa mattina - che è stato salutato con un fitto lancio di fuochi di artificio nella striscia di Gaza - prelude, secondo il Movimento di resistenza islamico, a ulteriori attacchi: altri passanti ebrei  saranno investiti nella capitale da automobili guidate da palestinesi, altri ancora saranno pugnalati per strada.

 Il cuore è a Gerusalemme
Gerusalemme, come avvenne già nel 2000 quando la famosa passeggiata di Sharon nella spianata delle Moschee scatenò la seconda Intifada, potrebbe presto tornare a essere l'epicentro di una nuova sollevazione armata dei gruppi  palestinesi. Il cuore di un nuovo sanguinoso conflitto fratricida, nonché il punto di caduta, simbolico, di tutte le tensioni accumulate in questi anni, senza che nessun attore internazionale (né le Nazioni Unite, né gli Stati Uniti, né l'Europa) offrisse una soluzione che potesse anche solo timidamente riavviare il processo di pace, interrotto nel 1996, quando fu ucciso Rabin. Quella «mano ferma» promessa da Netanyahu per punire i palestinesi e dare un avvertimento anche ad Abu Mazen, accusato da Israele di aver incitato alla nuova Intifada, prelude a nuove misure restrittive e repressive cui seguiranno, probabilmente, nuovi sanguinosi attentati, dietro i quali potrebbero anche non esserci fazioni armate ma solo lupi solitari che agiscono senza un capo.

Cambierà il teatro bellico, non più Gaza City ma le città israeliane e la West Bank. Ma il rischio di una nuova deflagrazione, su larga scala, non è più un'ipotesi.

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Gli attentatori: del Fplp ma lupi solitari
I due attentatori sarebbero - secondo fonti palestinesi - due cugini di Jabel Mukaber, quartiere arabo di Gerusalemme est, Rassan e Adi Abu al-Jamal. Le loro case sono state perquisite e evacuate dallo Shin Beth dopo l'attentato. Non sappiamo se siano effettivamente loro gli attentatori, secondo alcune fonti appartenenti al Fronte popolare di Liberazione della Palestina, una formazione laica e di sinistra della resistenza. Non è però infrequente che le forze di sicurezza palestinesi diano in pasto agli israeliani, nell'ambito degli accordi tra Anp e Tel Aviv, presunti terroristi che non c'entrano niente con gli attentati, ma che in qualche modo sono diventati troppo ingombranti o scomodi per le autorità palestinesi.

In quel gioco di specchi deformati che è il conflitto israelo-palestinese, può accadere di tutto, anche che chi ha commesso gli attentati sia solo un cane sciolto che non prende ordini da nessuna organizzazione, e che solo successivamente, quando qualche forza pensa di intestarsi l'attacco, diventano eroi della «resistenza palestinese». Il rischio è proprio questo, per Israele: che la nuova Intifada sia un'Intifada senza capi né burattinai a tirare le fila. Chi colpire nel caso non vi sia un chiaro responsabile politico? Punire un intero popolo?

Costretto sulle difensive il leader dell'Anp, Abbas ha formalmente condannato l'attacco anche per evitare che una nuova operazione su larga scala in Cisgiordania metta in ginocchio le infrastrutture dell'Anp, mentre Hamas - con cui Abbas stava cercando timidamente di avviare un processo di dialogo nell'ambito di un nuovo governo di unità nazionale - ha applaudito e festeggiato. Ci sono almeno due «Palestine» con cui Israele deve fare i conti. Ma in realtà il problema è che la nuova sollevazione potrebbe avere contorni indefiniti, popolari, spontanei.

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La ricaduta politico-diplomatica
L'attentato di questa mattina segna anche un apparente riavvicinamento tra Washington e Tel Aviv, i cui rapporti non sono mai stati così freddi, anche a causa della profonda disistima personale, ricambiata, tra Netanyahu e Obama. Ma in realtà - al di là delle scontate dichiarazioni di condanna del segretario di Stato John Kerry - non è cambiato il quadro interno e internazionale di un conflitto che appare senza vie d'uscita. Fino alla prossima, fragile, tregua. Una semplice pausa tra due esplosioni. Senza processi di pace, né speranze. Solo il tempo per ricostruire l'arsenale perduto (per i palestinesi) e il tempo (per gli israeliani) di stringere la morsa sui Territori occupati.

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L'attentato a Gerusalemme

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Le forze di sicurezza israeliane davanti alla sinagoga assaltata da terroristi nel quartiere Har Nof di Gerusalemme, 18 novembre 2014

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Paolo Papi