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MIGUEL MEDINA/AFP/Getty Images
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Parigi, l'Isis e il vero obiettivo delle stragi

Il terrore è la sua arma atomica per sollevare le masse arabe e musulmane più sofferenti in Europa. E paralizzarci. Ora l'Europa deve ritrovare l'unità

Otto terroristi hanno provocato 129 morti e messo a ferro e fuoco una grande capitale europea e mondiale. Basterebbero queste cifre a dare il senso di una sproporzione che in gergo tecnico si chiama “asimmetria” militare.

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La guerriglia cittadina di un gruppo di miliziani non è neanche lontanamente paragonabile allo sforzo bellico di un’intera e altamente tecnologica coalizione internazionale che comprende paesi occidentali e paesi arabi.

Tuttavia, il coordinamento delle diverse squadre di terroristi pronti anche al “martirio”, e la successione di attentati in uno scacchiere mondiale che va dalla Tunisia al Sinai, dalla Turchia a Parigi, dimostrano che dietro la paradossalmente micidiale “debolezza” dell’Isis ci sono menti criminali, terribilmente lucide.

L'arma dell'Isis: il terrore

Il terrore è l’arma fondamentale delle bande nere dell’Isis. Il terrore nei confronti delle popolazioni conquistate, come in Siria e in Iraq. Il terrore nei confronti delle popolazioni da conquistare, in Europa e nei paesi arabi moderati.

Il terrore è l’arma atomica dell’Isis. Un’arma la cui efficacia abbiamo potuto vedere in Europa, in altri anni e altri scenari, con i musulmani di Bosnia, vittime della bonifica etnica (un giorno bisognerà anche ragionare sulle conseguenze di lungo termine di quell’orrore).

Il Califfato sa bene cosa vuole. Il grido di guerra è pure un manifesto politico: “Allah è grande”. Basta ragionare sui diversi Islam: non c’è dubbio che nella tradizione islamica c’è anche una porzione che non è riuscita a emanciparsi da una visione totalizzante, integralista, di proselitismo violento e conquista territoriale. È la visione che fa le stragi, che taglia le teste, che punta a scatenare la guerra nel cuore dell’Europa.

Il nemico interno e quello esterno

Forte di un senso d’appartenenza e di una pretesa d’affiliazione esclusiva delle fortissime minoranze islamiche nei diversi Paesi europei. Il nemico è interno, per quanto non si debbano criminalizzare tutti i musulmani.

Ma il nemico è anche esterno, perché il secondo fronte dell’Isis è quello che lo vede contrapporsi ai regimi arabi moderati, a cominciare dall’Egitto di Al-Sisi e dalla Giordania di Re Abdallah.

Il Califfo vuole che si sollevino le masse arabe e musulmane in Europa, milioni e milioni di appartenenti a ceti sociali generalmente bassi, mal integrati, disintegrati in sette, rabbiosi nelle fasce più sofferenti che hanno smarrito l’identità (le seconde e terze generazioni).

La paura deforma e supera la realtà, sempre. Il terrore offre una percezione deformata della storia che stiamo vivendo. Il problema è che di fronte alle idee tragicamente chiare dei bombaroli e kamikaze del Califfo, l’Occidente ha perso la sua unità di visione, il senso della propria cultura, l’orgoglio delle radici, verrebbe da dire la spavalderia della sua superiorità economica, tecnologica, militare.

Oggi c’è un solo modo per evitare una deriva che mette a repentaglio la sicurezza dei nostri figli: vincere la guerra che l’Isis ci sta facendo. E c’è un solo modo per vincere questa guerra, tutte le guerre. Farla. Abbandonare le chiacchiere e passare ai fatti.

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Una donna piange davanti al Bataclan a Parigi - 15 novembre 2015

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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