Il viaggio di Barack Obama in Israele
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Il viaggio di Barack Obama in Israele

Una missione per rassicurare israeliani e palestinesi, entrambi delusi dal presidente Usa

La più attesa missione estera di Barack Obama potrebbe risultare un grande successo se riuscisse a ottenere il minimo risultato, visto gli attori in gioco e i loro rapporti, antichi e attuali: ristabilire una vera serenità di relazioni tra Stati Uniti e Israele e ritrovare un poco di confidenza con Abu Mazen. Obiettivo alla portata di mano, ma non è scontato che il presidente Usa lo raggiunga.

Barack Obama dovrà vincere quel profondo senso di delusione (se non di avversione, se si pensa al governo guidato da Benjamin Netanyahu) che ha suscitato sia tra gli israeliani sia tra i palestinesi per aver lasciato tutti i nodi del conflitto mediorientale stretti, così come li aveva trovati, evitando di scioglierli nel modo in cui ciascuna delle due parti avrebbe voluto che il presidente Usa li sciogliesse.

Quando atterrerà all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, Barack Obama non avrà una nuova proposta di pace da presentare, né una diversa Road Map da proporre, ma solo la suggestione che le sue posizioni sulla questione (mai mutate nel corso degli anni) possano essere comunque una base da cui ripartire per - se si vuole - riprendere a parlare di pace. "Sono qui, voglio fare la mia parte e darvi una mano, se volete" - potrebbe essere il messaggio della sua visita.

Le condizioni, in fondo, sono diverse rispetto a quelle di solo alcuni mesi fa. Obama ha vinto la sfida con Mitt Romney e ora, nel secondo mandato, è più libero di agire in politica estera. Da parte sua, Benjamin Netanyahu, dopo le elezioni, è meno forte di prima e - soprattutto - guida un governo più centrista rispetto al precedente. Di questo nuovo panorama, potrebbe beneficiare un impulso al dialogo con un debole Abu Mazen, ancora critico con Obama per il suo no (insieme con Israele) alla risoluzione dell'Onu che ha concesso alla Palestina lo status di "Stato Osservatore".

Ora, con queste bocce ferme, Obama tenterà di ricostruire il campo di gioco in cui invitare i contendenti a misurarsi. Lo stesso itinerario della visita del presidente americano sarà un modo per riaffermare i principi su cui - secondo lui - dovrebbe essere costruita una pace durevole. Visiterà la tomba di Theodor Herlz, il fondatore del Sionismo, e il Memoriale dell'Olocausto, ma non parlerà alla Knesset e non si recherà nelle parte vecchia di Gerusalemme (non andrà al Muro del Pianto e alla Moschea Al Aqsa), israeliana dal 1967. Un percorso che è un messaggio politico indirizzato alle parti. Obama va alle radici (moderne) dell'esistenza dello Stato d'Israele e chiede di discutere di una soluzione che contempli uno stato palestinese a partire dalla sua proposta di trattare sulla base del ritiro (parziale, totale) israeliano confini del '67.

Obama si recherà anche in West Bank per un incontro con Abu Mazen. Se viaggerà in macchina, passerà vicino al Muro. A Ramallah è previsto un incontro con i giovani palestinesi. Cercherà di spiegare loro perchè il suo governo ha deciso di non appoggiare la richiesta dell'ANP all'Onu. Anche in questo caso, per lui si tratta di conquistare la fiducia dei suoi interlocutori. Se è vero che al Palazzo di Vetro è rimasto accanto a Israele, è anche vero che l'esito dei quel voto non è stato enfatizzato (negativamente).

L'ultima tappa sarà alla Chiesa della Natività a Betlemme, omaggio - dicono le fonti della Casa Bianca - alla religione cristiana e ai tanti suoi fedeli perseguitati dall'Islam radicale.

Questo è il primo viaggio da presidente da Barack Obama in Israele. Ne fece uno, da candidato, prima dell'elezione del 2008. Quando poi, qualche mese dopo la vittoria, si recò al Cairo per lo storico discorso che - di fatto - contribuì a ispirare la nascita della Primavera Araba, non fece tappa a Tel Aviv - come era avvenuto per il suo predecessore George W. Bush - ma andò in Europa, a visitare il Campo di Sterminio di Buchenwald.

Nel corso degli anni, i rapporti con il governo israeliano non sono stati buoni, ma, anzi, all'insegna di una non celata freddezza. Tra i tanti temi di divisione anche la strategia da adottare nei confronti dell'atomica iraniana. Alla vigilia della partenza, Obama ha rilasciato un'intervista a una televisione israeliana in cui spiega che Teheran avrà l'atomica entro un anno. Pur sempre spingendo sul tasto delle pressioni diplomatiche ed economiche, il presidente Usa non ha mai negato l'opzione militare per impedire che gli ayatollah abbiano la bomba atomica. Il tema verrà discusso con il primo ministro israeliano,  adesso più prudente, a sua volta, su di un blitz militare contro le infrastrutture iraniane.

Il New York Times ha scritto che Barack Obama rischia di essere il primo presidente americano a recarsi in Israele a fare turismo (un modo per dire che si presenta senza una proposta concreta per il conflitto israelo-palestinese). Può essere. Certo è che Obama riuscisse a ristabile fiducia tra lui e i suoi interlocutori, allora potremmo dire che non sarebbe un turista per caso.

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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