Cosa c'è dietro il fallito blitz dei Navy Seals in Somalia
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Cosa c'è dietro il fallito blitz dei Navy Seals in Somalia

Navy Seals respinti dal fuoco degli Shaabab, l'obiettivo numero uno mancato: i perché di una missione andata male

Abdulkadir Mohammed Abdulkadir, meglio conosciuto come Ikrima, uno dei leader degli Shaabab, il gruppo terrorista islamico somalo è riuscito laddove Osama Bin Laden aveva fallito: salvare la pelle durante un blitz dei Navy Seals.

Ora anche il Pentagono l'ammette: la missione di sabato a Barawe è andato male. L'obiettivo numero uno è scappato, il commando di truppe speciali si è dovuto ritirare sotto il fuoco dei guerriglieri islamici e quella che avrebbe dovuto essere una vittoria militare, politica e d'immagine degli Stati Uniti rischia invece di trasformarsi in una pericolosa affermazione del gruppo responsabile della strage della centro commerciale Westgate di Nairobi.

Ritirata sulla spiaggia

Dopo aver cercato di nascondere i particolari dell'accaduto, sono state le stesse fonti del Dipartimento della Difesa raccontare cosa è successo a Barawe, la città della Somalia Meridionale, diventata quartier generale degli Shaabab, dopo che i terroristi islamici erano stati cacciati prima da Mogadiscio e poi da Chisimaio. La squadra dei Navy Seals aveva un ordine: catturare o uccidere Ikrima, il comandante di origine keniota, considerato l'architetto delle operazioni fuori dal territorio somalo degli Shaabab, compreso il sanguinoso attacco a Nairobi.

Individuato il complesso residenziale dove si trovava, le truppe speciali americane sono entrate in azione. ma qualche cosa è andato storto. I Seals hanno subito ingaggiato uno scontro a fuoco con un paio di guerriglieri, poi sono arrivati rinforzi. I soldati americani sono stati costretti a ritirarsi sparando fino alla spiaggia prima di evacuare. Nessuno di loro è rimasto ferito. Due terroristi, invece sono morti.

Uno dei motivi per cui non hanno insistito nell'operazione - è stato poi spiegato da fonti ufficiali - è che c'erano troppe donne e bambini nell'edificio in cui si trovava Ikrima. Ed è questo il motivo per il quale, nonostante la forte resistenza dei terroristi, le autorità militari statunitensi non hanno chiesto l'aiuto dei Top Guin dell'Air Force e, in precedenza, era stato deciso di non usare dei droni per eliminare il leader degli Shaabab.

Un blitz maldestro

Sono state seguite le direttive sulla lotta al terrorismo stabilite dal Presidente Obama nella scorsa primavera. Prevedono che la "forza letale sia usata solo quando ci sia una ragionavole certezza di non uccidere o ferire dei non combattenti." A differenza della campagna di droni varata in Pakistan, Afghanistan e Yemen, dove sono stati uccisi numerosi civili, tra vecchi, donne e bambine, in questo caso, invece, il Pentagono ha voluto usare un'altra tattica. Perchè?

Per seguire le indicazioni della Casa Bianca, ma anche perché, pare di comprendere, avrebbe dovuto essere il week end dei terroristi catturati. Accanto alla testa di Abu Anas Al-Libi, il responsabile di Al Qaeda preso dalle forze speciali Usa a Tripoli, considerato uno delle menti degli attentati alle ambasciate statunitensi di Nairobi e Dar Es Salam del 1998, il governo americano voleva mostrare anche il volto dietro le sbarre (o lo scalpo) di Ikrima.

Dopo lo smacco siriano, dopo l'attacco degli Shaabab al Westgate (in cui sono morti molti occidentali), con tutta probabilità,  l'amministrazione Obama voleva dare una dimostrazione di forza. Per recuperare credibilità. Per questo i blitz sono stati ordinati. E se in quello libico è andato tutto liscio, in quello somalo, al contrario è andato tutto storto. Ora le autorità militari americane dicono che era programmato da mesi, ma in realtà, appare evidente come sia stato deciso se non all'ultimo momento, almeno poco tempo prima.

Le truppe speciali (forse) hanno avuto poco tempo per addestrarsi, per agire su quel particolare obiettivo, su di un territorio (quello somalo) ormai poco conosciuto dai soldati americani, nonostante siano state diverse le operazioni coperte effettuate negli ultimi anni.

Gli Shaabat, un gruppo sottovalutato

In più, c'è il fatto che gli Shaabat, in passato, non sono stati un obiettivo prioritario dell'amministrazione Obama. Si pensava che i pericoli e le minacce per l'America arrivassero da altre parti: da Al Qaeda e dai terroristi fai-da-te. Il gruppo somalo sembrava in gravi difficoltà, costretto a leccarsi le ferite dopo le sconfitte militari degli scorsi anni, più impegnato a mantenere le posizioni sul fronte interno che capace di lanciare attacchi all'esterno della Somalia. Il massacro di Nairobi ha fatto cambiare idea al governo americano. Che deciso di agire.

Ma l'esito fallimentare del maldestro blitz di Barawe rischia di essere controproducente per gli Usa. Costingere alla ritirata i Navy Seals, i soldati che hanno eliminato Osama Bin Laden, può diventare per gli Shaabab un formidabile strumento di propaganda. Da utilizzare per fare proselitismo, avere aiuti e finanziamenti, tentare di tornare all'offensiva. Gli Stati Uniti (e i suoi alleati nel Corno d'Africa) sono ora avvertiti.

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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