La condanna di Bradley Manning
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La condanna di Bradley Manning

35 anni di prigione per il soldato che ha dato a Wikileaks migliaia di documenti riservati. Una pena inferiore alle attese, ma comunque sia, una condanna esemplare

L’accusa voleva una condanna senza possibilità di appello, una pena che facesse da deterrente: che impedisse ogni altra divulgazione di notizie e carte riservate. E'un traditore, aveva detto nella requisitoria il capitano Joe Morrow. Che aveva chiesto una pena di 60 anni di carcere; tanti, ma comunque meno dei possibili 90 anni previsti dal codice per la somma di reati che aveva compiuto Bradley Manning. 

David Coombs, l'avvocato difensore del soldato aveva implorato la corte marziale di Fort Meade di avere pietà: “Non possiamo permettere che tutta la sua giovinezza venga rubata”. Lo stesso Manning aveva chiesto perdono: “Anche se so che dovrò pagare un prezzo per le mie azioni.”

Il giudice, il colonnello Denise Lind, una dei tanti ufficiali donna dell’esercito degli Stati Uniti, in parte, li ha ascoltati. 35 anni di prigione. Non sono uno scherzo, ma a Bradley Manning poteva andare molto peggio dopo che lo stesso giudice lo aveva giudicato colpevole. Il 25enne del Midwest, l’autore della più clamorosa fuga di notizie nella storia delle forze armate americane dopo la pubblicazione dei Pentagon Papers, l’uomo che ha fornito a Wikileaks più di 700.000 documenti riservati del Dipartimento della Difesa e del Dipartimento di Stato rischia di uscire dal carcere tra molto tempo, ma non rimarrà sepolto dietro le sbarre.

Secondo il codice penale militare, il soldato Manning potrà avere uno sconto della pena per buona condotta, ma per essere rilasciato sulla parola, in libertà vigilata dovrà scontare almeno un terzo della condanna. Lui è già in carcere da tre anni e mezzo. Un periodo di cui i giudici terranno conto nella computo della pena. Se tutto andrà bene, potrebbe essere rilasciato tra una decina di anni.

Prima evitato l'ergastolo, ora una condanna a vita 

La condanna c'è stata. In fondo è stata esemplare, ma non crudele. Nessuna vendetta da parte dell'esercito. Ora, il suo avvocato potrebbe fare appello, sperando in un'ulteriore diminuzione delle pena. Qualche settimana fa, Bradley Manning sembrava destinato a rimanere dietro la sbarre tutta una vita. Ora, solo la metà. Forse non è una consolazione, forse si. Il soldato aveva già evitato la possibilità di essere condannato all’ergastolo perché il giudice Lind lo aveva scagionato dall’accusa più grave: complicità con il nemico, ma lo aveva ritenuto colpevole di altri 20 capi d'imputazione, tra cui lo spionaggio. Nessuno pensava che dalla Corte Marziale potesse arrivare una condanna a 35 anni di carcere. Tutti scommettevano su molte decine di anni in più.

Comunque sia, ora l’ex analista dell’esercito americano di stanza a Bagdad , ha un preciso destino davanti a sé: stare in prigione, simbolo vivente, per i suoi sostenitori, di una battaglia per la libertà di stampa e per la trasparenza delle azioni del potere esecutivo, e, per i suoi detrattori, invece, di un tradimento del giuramento fatto di difendere gli interessi nazionali e di sicurezza statunitensi in patria e all’estero. Forse è stato per evitare di dare fiato alle trombe dell'esercito liberal di sostenitori di Manning che il giudice ha inflitto una pena inferiore alle attese.

La Storia

Quella battaglia, o quel tradimento, Bradley Manning l’ha spiegata ai giudici con il suo disgusto per la guerra americana in Iraq. Quando viene mandato a Bagdad inizia a capire cosa è il conflitto, si sente isolato, alienato, alle prese con una esperienza che per lui diventa presto senza senso.

Il risultato di questo disagio è la decisione di inviare clandestinamente a Wikileaks, l’organizzazione di Julian Assange, di migliaia di documenti classificati . I suoi legali hanno cercato anche di spiegare la sua ribellione e il suo gesto con la sua crisi esistenziale scoppiata a causa della condizione in cui lui, omosessuale, doveva vivere in un esercito dove il principio del "Don't Ask, Don't Tell" (non chiedere, non dire, che vigeva nelle Forze Armate fino all'anno scorso) non faceva altro che discriminare i gay.

Nel maggio del 2010, Bradley Manning contatta in rete Adrian Lemo, un ex hacker molto famoso (venne arrestato nel 2003 per essere penetrato nel sistema informatico del New York Times). Gli svela di essere colui che aveva passato al sito diretto da Julian Assange il famoso filmato Collateral Murder, il video che mostrava l’uccisione di due cameraman della Reuters da parte di un elicottero americano in Iraq, scambiati per terroristi perché i due avevano una telecamera sulle spalle e i militari pensavano che fosse un lancia missili. Lemo allora avverte l’Fbi. Le manette scattano presto ai polsi del giovane analista. Prima trasportato in una base militare in Kuwait, e poi trasferito negli Stati Uniti.

La detenzione e il processo

Manning rimane in prigione più di 24 mesi prima del processo. I suoi avvocati chiedono più volte che venga scarcerato, affermano che il ragazzo è stati trattato in modo crudele, torturato. In isolamento per 23 ore al giorno, costretto a svegliarsi ogni cinque minuti, o a dormire nudo, controllato con continue e improvvise ispezioni, il soldato avrebbe passato in questi condizioni un anno nel carcere dei marines di Quantico, in Virginia. La situazione migliora, ma non di molto, dopo le prime denunce dei suoi avvocati e il trasferimento a Fort Leavenworth, in Kansas.

Molti si mobilitano per la sua liberazione. Intellettuali e artisti (in prima fila il regista Michael Moore), Premi Nobel per la Pace come il vescovo sudafricano Desmond Tutu, attivisti, semplici cittadini: sul sito FreeBradleyManning compaiono decine di appelli. Il suo nome viene fatto per il Premio Nobel per la Pace. Una raccolta firme è partita da tempo con l'obiettivo di chiedere la grazia a Barack Obama 

Poi, la condanna. Il ragazzo dell’Oklahoma che è stato al centro di una delle più clamorose vicende americane dell’ultimo decennio ha chiesto scusa, ma non è bastato. L’esercito, il Pentagono e, in fondo, anche l’amministrazione Obama volevano una condanna esemplare, ma, ripetiamo, non crudele. Per Bradley Manning, per quello che ha fatto. Per Julian Assange e Edward Snowden, se mai dovessero finire di fronte a un tribunale Usa. Per tutti gli altri che hanno tentazioni simili a quelle avute dai tre. La condanna è arrivata. 

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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