La strada per la pace di Barack Obama
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La strada per la pace di Barack Obama

Il discorso ai giovani israeliani a Gerusalemme rieccheggia quello del Cairo. Obama e la shoah: foto

Quasi quattro anni dopo lo storico discorso del Cairo, con cui puntava ad aprire una nuova fase dei rapporti tra gli Stati Uniti e l'Islam, e, nel reciproco riconoscimento, offriva al mondo arabo di lavorare insieme per la pace nella regione mediorientale, Barack Obama pone quella che, nelle sue intenzioni, appare una nuova - speculare - pietra miliare delle relazioni tra Washington e la società israeliana, e avanza, anche in questo caso, un invito a riconoscere le ragioni dell'altro, dei palestinesi, unico modo - per il presidente Usa -  per raggiungere la meta agognata dai giovani che lo hanno ascoltato: la sicurezza e un futuro prospero per loro in Israele..

Se quattro anni fa, quelle parole  furono (anche) fonte d'ispirazione per molti di coloro che poi diedero vita alle Primavere arabe, nelle intenzioni di Obama, il discorso all'Università di Gerusalemme dovrebbe essere motivo di impulso per l'opinione pubblica israeliana a dare vita a una nuova stagione, fondata sulla fiducia del raggiungimento di una pace necessaria e giusta con il Nemico di sempre: i palestinesi.

Più incentrato sulla affinità tra la religione islamica e la religione civile americana, il discorso del Cairo; più focalizzato sulla condivisione degli stessi valori culturali tra Israele e Stati Uniti, quello di Gerusalemme, a quattro anni di distanza, i due discorsi hanno seguito uno schema, quasi una scaletta, simile. In entrambe le occasioni, prima di tutto, Obama ha voluto parlare dei suoi rapporti personali con le due religioni; con l'Islam (al Cairo, ha ricordato la fede di suo padre) e con l'Ebraismo (ai ragazzi israeliani ha raccontato la sua scelta di celebrare la Pasqua Ebraica alla Casa Bianca con le figlie e gli amici della comunità ebraica di Chicago).

Poi, in tutte e due le occasioni ha voluto fare un parallelismo tra la storia degli afroamericani e la storia della Diaspora degli Ebrei (a Gerusalemme) e del popolo palestinese (al Cairo); una storia che ha trovato un approdo dopo anni di battaglie non violente nel riconoscimento dei diritti della comunità nera nella Terra della Libertà e delle Democrazia, laddove anche musulmani ed ebrei hanno (sempre) trovato - ha ricordato - libertà d'espressione e di culto.

Presentandosi come erede ed esempio vivente di compimento di quella storia, sulla base della sua personale e cosmopolita biografia, Barack Obama, quattro anni fa, come oggi, si è posto come interlocutore empatico, in grado di riconoscere e comprendere il "dolore" secolare e attuale ddei popoli a cui si rivolge. E, da quella posizione terza, ma partecipe, ha voluto mostrare di essere capace di guardare ai loro destini.

Nel 2009 chiedeva agli arabi di riconoscere le persecuzioni ai danni degli ebrei nel corso dei secoli. Diceva ai palestinesi di abbandonare la violenza:"E'un vicolo cieco, non è potere né coraggio lanciare dei razzi contro bambini che dormono , né far esplodere vecche signore che viaggiano su di un autobus." Ma, proseguiva, se osserviamo il conflitto da un solo punto di vista non riusciremo a riconoscere la verità: "l'unica soluzione è che è che le aspirazioni di entrambi i popoli vengano soddisfatte con la creazione di Due Stati".

Quattro anni dopo, a Gerusalemme, dopo aver riconosciuto l'ansia della società israeliana davanti alle minacce e ai pericoli, Obama, davanti ai giovani dell'università, ha riparlato esplicitamente di quei bambini israeliani che dormono con il terrore di essere colpiti dai razzi palestinesi, ma ha anche chiesto a quei giovani di provare a"guardare il mondo con gli occhi dei bimbi di Gaza", a riconoscere come non sia giusto che i bimbi palestinesi non "possano crescere in un loro Stato e debbano invece convivere con un esercito straniero che ogni singolo giorno controlla i movimenti dei loro genitori."

Una pace giusta, nella sicurezza, che garantisca un avvenire per i ragazzi israeliani. Così come dovrebbe garantirla ai palestinesi (o agli arabi, se si pensa al Discorso del Cairo).

Più che quello di un politico, il discorso di Gerusalemme è apparso quello di un leader visionario. Il ruolo che Barack Obama si è "ritagliato" è proprio questo. Almeno in questa visita in Israele. Ristabilire fiducia e confidenza, riconoscere le ragioni e i timori dei suoi interlocutori, suggerire una direzione di marcia nella storia di questi popoli. Ha gettato ei semi. La politica, il tentativo di far ripartire il dialogo tra le parti, lo farà John Kerry, il suo Segretario di Stato che, appena ripartito Obama, inizierà a fare la spola tra l'Autorità Nazionale Palestinese e il governo israeliano per tentare di tradurre in pratica quei principi enunciati dal presidente americano. Ma questa è una Storia ancora da scrivere.

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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