Tutti i fallimenti di Barack Obama in Medioriente
Barack Obama (Getty Imagines/ Jim Watson)
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Tutti i fallimenti di Barack Obama in Medioriente

Dalla reazione tardiva contro l'Isis al no al blitz per liberare Foley rivelato da Fox: i flop del presidente potrebbero costare molto cari ai democratici

La politica del riluttante guerriero Barack Obama sta producendo effetti controversi per la sicurezza degli Stati Uniti. I tentennamenti in Siria, con il dietrofront rispetto all'iniziale piano di abbattere il regime di Bashar Assad, il disinteresse in Iraq ammorbidito dalla tardiva decisione di aiutare le forze che combattono contro l'Isis, il disimpegno dall'Afghanistan (che ha il sapore della ritirata), la guerra in Libia e l'incapacità di gestire il dopo Gheddafi sono tutti anelli di una sola catena: quella dei fallimenti della politica estera di Obama in Medioriente, per i quali i democratici potrebbero pagare un prezzo molto salato nelle elezioni di medio termine. Fallimenti cui se ne aggiunge un altro, secondo Fox News, ancora più clamoroso, perché cade alla vigilia del voto. E perché mina direttamente la credibilità del comandante in capo: «L'amministrazione americana sapeva dove si trovava il giornalista americano James Foley e gli altri ostaggi detenuti in Siria già ai primi di maggio, ma la missione per liberarlo, fallita, è partita solo a luglio» ha detto una fonte anonima citata dall'emittente statunitense.

L'amministrazione Obama sapeva dove si trovava il giornalista americano James Foley e gli altri ostaggi detenuti in Siria già ai primi di maggio. Ma la missione per liberarlo, poi fallita, fu approvata solo a luglio - See more at: https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/La-mossa-di-FoxNews-Obama-sapeva-dove-era-Foley-ma-ha-agito-solo-due-mesi-dopo-f2ecca42-56c3-4c6c-af02-ea3df12cb90e.html#sthash.rX1TaPQg.dpufIl no alle richieste di aiuto di Baghdad

Il caos iracheno
Il caso iracheno è il più clamoroso. L'avanzata dei guerriglieri jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis) verso Baghdad segna la sconfitta della linea adottata dall'amministrazione Obama. Il disimpegno non paga. L'Iraq è già rimpiombato nel caos e l'affermazione dell'Isis rischia di essere un potenziale, gravissimo pericolo per gli Stati Uniti. In marzo, il premier Nuri Kamal al Maliki aveva chiesto aiuto a Obama. La priorità era fermare l'Isis con raid aerei. Ma, la risposta della Casa Bianca è stata negativa. Il presidente eletto sei anni fa con la promessa di lasciare l'Iraq, dopo aver ritirato completamente le truppe da Baghdad, non voleva un nuovo coinvolgimento americano nella zona, che poi si è reso necessario quando ormai la situazione sul campo si era fatta insostenibile per le forze e le popolazioni che avversano l'Isis. La reazione è stata tardiva?

La questione sunnita
Nello specifico, il governo iracheno aveva chiesto che fossero usati i droni per colpire i capi dell'Isis. È una pratica a cui gli americani ricorrono abitualmente con i leader di Al Qaeda in Yemen o in Pakistan, ma che si sono rifiutati di adottare in Iraq. Pensavano che sarebbe stata contropruducente. Avrebbe cementato l'unità degli oppositori contro il governo di Baghdad. Secondo Washington, il pericolo Isis avrebbe dovuto essere contrastato con una politica diversa di Al Maliki nei confronti dei sunniti. Lui, però pensava che solo il bombardamento dei campi militari degli jihadisti avrebbe funzionato e aveva ragione.

Le cose sono state lasciate andare da parte di Washington, non sono state governate e ora la Casa Bianca si è trovata spiazzata dalle vittorie dell'Isis. Obama cerca di correre ai ripari, con nuovi aiuti a Baghdad, ma sembra essere troppo tardi. Il tempo per metterci un toppa è limitato. Un accordo già siglato in passato prevede uno stanziamento di 14 miliardi di dollari in forniture militari, compresi un certo numero di caccia F – 16, elicoterri Apache e fucili M – 16. Nel pacchetto ci sono anche gli esperti militari statunitensi per addestrare le truppe speciali irachene. Ma tutto questo non è stato sufficiente a evitare la crescita militare dell'Isis

Libia e Afghanistan
La situazione in Iraq è anche la conseguenza della sua politica in Siria. Il modo tentennante in cui ha gestito la crisi ha portato a un duplice risultato negativo per gli Usa: Assad è ancora al potere e i jihadisti si sono rafforzati.

Stesso discorso potrebbe essere fatto per la Libia. Il paese è nel caos e gli americani non sono in grado di gestire le dinamiche locali che rischiano di portare a una vera e propria guerra civile.

L'Afghanistan potrebbe essere il prossimo Iraq. Dopo il totale disimpegno delle truppe americane, previsto per il 2016, i talebani potrebbero riprendere il controllo del territorio. Già le prime avvisaglie si avvertono.

Obama sembra essere più concentrato sul ritiro che sul mantenimento di un livello minimo di sicurezza. Punta sull'esercito afghano. Ma senza risolvere i nodi politici e quelli militari, senza impegnare ancora gli Usa, a Kabul tra un paio di anni potrebbe esserci una situazione simile a quella che ora c'è in Iraq. Con tutti i rischi del caso per la sicurezza degli Stati Uniti. Allora, Obama sarebbe alla fine della sua presidenza. Non lascerebbe una bella eredità al suo successore.

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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