Reinhold Messner e il Nepal: "Va rilanciato"
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Reinhold Messner e il Nepal: "Va rilanciato"

La proposta dell'alpinista: l'Italia sia capofila di un progetto di recupero del patrimonio culturale himalayano

Il 25 aprile il Nepal è stato scosso dal peggior terremoto della sua recente storia. E proprio ora che l’attenzione mediatica sta scemando, sebbene il numero delle vittime stia crescendo sempre più, abbiamo incontrato e scambiato alcune riflessioni con Reinhold Messner, durante la 63esima edizione del Trento Film Festival. Nepal, Everest, montagna e alpinismo, senza giri di parole e con qualche proposta concreta per sostenere il Paese.

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Qual è la situazione in Nepal oggi?
I morti arriveranno a 10.000. Una catastrofe. Ma la cosa peggiore è che all’inizio parlavano tutti della valanga sull’Everest. Tutti. Mentre del Nepal, quello vero, non si parlava. Non si parlava nemmeno degli elicotteri che portavano giù dall’Everest tutta questa gente perché era capace di pagare, aveva le assicurazioni, invece che andare dove c’erano i nepalesi sotto i massi. La tragedia era ed è a ovest dell’Everest, non sulla montagna. Solo adesso sappiamo che le vallate non hanno ancora soccorsi, perché gli elicotteri non bastano. Senza contare che il governo nepalese si sta comportando in modo stupido, dato che non lascia entrare tutti gli aiuti. 

Cosa si può fare adesso per il Nepal?
Al momento i nepalesi non hanno più risorse per portare aiuti nelle vallate e nella periferia. Credo che a oggi la cosa migliore da fare è sostenere le associazioni e le ONG che sono sul territorio da anni, che operano direttamente nel paese. Noi possiamo mandare soldi, perché non è facile arrivare là. E servirebbe a poco, ora. Poi c’è il resto.

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Cosa?
Ho parlato con il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che mi ha telefonato subito dopo il terremoto, chiedendomi cosa si poteva fare politicamente per sostenere il Nepal. Io allora ho proposto che gli Stati europei, forse con l’Italia come prima sostenitrice di questo progetto, mettano a disposizione i mezzi per aiutare le popolazioni colpite. Il tutto ovviamente controllando bene i processi di ricostruzione, anche dei beni culturali. Sappiamo tutti che c’erano tantissime opere del patrimonio culturale UNESCO andate distrutte mentre non sono cadute le case degli ultimi 50 anni, dato che già avevano il cemento armato.

A oggi la cosa migliore da fare è sostenere le associazioni e le ONG che sono sul territorio da anni

Dato che l’Italia è il primo Paese al mondo per patrimonio culturale e architettonico, potrebbe lavorare perché il turismo culturale in Nepal non finisca. È la principale fonte di reddito e solo dopo vengono trekking e alpinismo.

Ma come è cambiato l’alpinismo in Himalaya rispetto ai tuoi primi viaggi? Oggi si parla delle cosiddette "spedizioni commerciali": persone che pagano anche 250mila dollari per scalare, o meglio farsi portare, sull’Everest.
Anche io le chiamo così, ma in realtà non sono nemmeno spedizioni. Con la tecnologia di oggi, tra GPS e telefoni cellulari, non si corrono più i rischi che si correvano un tempo. L’alpinismo negli ultimi 30 anni ha vissuto una grande rivoluzione. È cambiato. Ora è sport - il 90% di chi arrampica oggi lo fa in palestra, pratica bellissima ma che con la montagna non ha nulla a che fare - e solo in piccola parte vero alpinismo, quello che si pratica dove non ci sono infrastrutture, dove non c’è possibilità di farsi salvare, dove sei fuori dal mondo.

Altro che spedizioni commerciali...
Quelle sono una nuova forma di turismo. Nulla più. 500 sherpa per due mesi preparano le piste sull’Everest. Dove ci sono i crepacci, ci sono i ponti. Dove c’è un pendio ripido, c’è una scala. Ci sono bombole di ossigeno su tutta la via, per portarti fino in vetta. E poi non solo hai una cucina in ogni campo. Hai delle cucine raffinate. Hai il medico, gli sherpa, le guide. E paghi per tutta questa infrastruttura. Dove c’è infrastruttura, c’è turismo.

Dopo il sisma mi ha telefonato Renzi. Gli ho detto di agire sul patrimonio culturale del Nepal

Già, il turismo. Si parla del danno economico per sherpa e portatori, che ora sono rimasti senza clienti.
Nel 2003 sono andato con Edmund Hillary (il primo alpinista a completare l’ascesa dell’Everest, insieme a Tenzing Norgay, ndr) dal re del Nepal e gli abbiamo detto che non era saggio portare centinaia di persone sull’Everest, perché è pericoloso e perché ruba alla montagna la sua parte mitica. E il re non ha risposto. È andato avanti con questo sistema. Oggi per avere i permessi si pagano 11.000 dollari a testa. S fosse per me, sopra i 5.000/6.000 metri non ci dovrebbero essere infrastrutture. Ma perché tutti devono salire sul K2? 

Ma quindi l’alpinismo, che fine farà?
L’alpinismo non è morto, è emarginato. E i giovani non potendo scalare per primi le varie cime che sono state conquistate dalla mia generazione, hanno deciso di giocare sulla velocità. I margini sono stati alzati, anche grazie alla tecnologia. 

In una parola, perché un giovane dovrebbe amare la montagna?
Si ama una donna, si ama un’altra persona, si amano i figli. La montagna si rispetta. Più in alto vai, più è difficile la scalata, più è veloce, più cresce il tuo rispetto. Non è il contrario. Normalmente chi dice di amare la montagna è un romantico. L'alpinismo è nato con il progresso tecnologico, con l’Illuminismo e con il Romanticismo.Per andare in montagna ci vuole grandissimo rispetto, perché la montagna non è solo molto più grande di noi. Solo la gravità basta per ucciderti.

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Fabrizio Goria

Nato a Torino nel 1984, Fabrizio Goria è direttore editoriale del sito di East, la rivista di geopolitica. Scrive anche su Il Corriere della Sera e Panorama. In passato, è stato a Il Riformista e Linkiesta e ha scritto anche per Die Zeit, El Mundo, Il Sole 24 Ore e Rivista Studio. È stato nominato, unico italiano, nella Twitterati List dei migliori account Twitter 2012 da Foreign Policy.

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