Cosa direbbe oggi Martin Luther King?
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Cosa direbbe oggi Martin Luther King?

L’uomo che aiutava King a scrivere i discorsi ricorda lo storico giorno di 50 anni fa a Washington. E quello stile "che Barack Obama non può nemmeno imitare"

Le parole pronunciate cinquant’anni fa da Martin Luther King all’ombra della statua di Abraham Lincoln riecheggiano ancora oggi. Dal 28 agosto 1963 l’espressione «I have a dream» è diventata un’icona universale, una formula scolpita nella pietra della storia. In un discorso di 17 minuti il reverendo che è stato l’incarnazione della battaglia per i diritti civili nell’America della segregazione razziale condensò la forza rivoluzionaria del suo messaggio, affidandola ai posteri. 

Quello pronunciato a Washington cinquant’anni fa è infatti uno dei discorsi più gravidi di conseguenze della storia moderna. Linguisti, filosofi, scrittori di discorsi, teologi, esperti di comunicazione lo hanno sezionato e analizzato da qualsiasi prospettiva, hanno cercato nel ritmo, nella circolarità, nelle ripetizioni da sermone, nella scelta di parole ricorrenti, nel tono e nell’impianto retorico gli ingredienti segreti di quel discorso immortale.

Ma se potesse pronunciare una volta ancora il suo discorso oggi, nell’America di Barack Obama e della crisi economica, quali parole sceglierebbe? A quali formule si affiderebbe per far arrivare il suo messaggio ai cuori degli americani? Panorama lo ha chiesto a Clarence Benjamin Jones, consigliere e amico intimo del reverendo. È l’avvocato che aiutava King nella preparazione dei discorsi e che ha dedicato la vita alla battaglia per i diritti civili e alla diffusione delle idee del leader nero. 

Violenza. «Se il reverendo fosse qui oggi» spiega Jones «terrebbe un discorso contro la violenza, contro la diffusione delle armi da fuoco che impediscono la realizzazione del suo sogno. Direbbe: “Enough is enough”, ne abbiamo abbastanza. Credo che sceglierebbe parole ancora più dure per condannare i mali di questo tempo e la società terribilmente violenta che questi mali hanno generato. E certamente si scaglierebbe con tutta la sua forza oratoria contro la diseguaglianza e la polarizzazione che sono una minaccia esistenziale per il sogno che aveva in mente».

Improvvisazione. Jones, recente autore del libro Behind the Dream: The Making of the Speech that Transformed a Nation (Dietro al sogno. Come è nato il discorso che ha cambiato la nazione), è convinto che quel discorso di cinquant’anni fa è scaturito da una «forza cosmica» che ha ispirato King: «Non tutti lo sanno, ma soltanto i primi sette paragrafi del discorso erano preparati. Avevamo selezionato insieme i temi e lui aveva steso il testo. Poi a un certo punto Mahalia Jackson, la grande cantante gospel che aveva aperto la manifestazione, ha iniziato a urlare: “Parla del sogno! Parla del sogno!”. Ero a pochi metri di distanza e ricordo benissimo che King ha accantonato i fogli e ha preso a parlare a braccio. La parte che è entrata nella storia era in realtà improvvisata, ed è anche questa la sua forza. Con un discorso spontaneo ha espresso un concetto che si può riassumere in tre parole: all, here, now. Vogliamo tutto, qui e ora. Non possiamo tralasciare il valore che la spontaneità e l’improvvisazione hanno avuto quel giorno. Nel linguaggio politico di oggi tutto è talmente preparato da sembrare artificiale, finto».Irripetibile.

Il discorso dell’«I have a dream» ha cambiato i canoni della comunicazione politica americana e certamente ha influenzato Obama, un presidente che ha edificato la sua fortuna politica anche sull’arte oratoria. L’America è rimasta affascinata, forse persino ipnotizzata, dai suoi discorsi ad alto coefficiente emotivo, ma Jones rifiuta anche l’accenno di un paragone: «Chi ha avuto la fortuna di vivere fra il 1963 e il 1968 ha potuto vedere la più brillante delle stelle del cielo. Martin Luther King era questo, una stella in cielo. Una figura unica, assolutamente irripetibile, e non è possibile nemmeno imitare il suo stile per il semplice fatto che lui è stato un unicum nella storia. Nemmeno il più ispirato dei discorsi di Obama si è avvicinato a quella forza che si è sprigionata il 28 agosto 1963. E si badi bene: non è stato il discorso più profondo né il più complesso fra i tanti che il reverendo ha pronunciato. Ma è stato il più potente, per una irripetibile combinazione di fattori, dalla folla all’ambientazione del Lincoln Memorial, alla giornata scintillante. Irripetibile, questo è l’aggettivo. E vale per quel discorso e per Martin Luther King stesso. Se potesse fare di nuovo quel discorso, inventerebbe qualcosa di irripetibile, ci stupirebbe ancora».

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Mattia Ferraresi