Mainardo Benardelli, un grand'uomo (sconosciuto)
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Mainardo Benardelli, un grand'uomo (sconosciuto)

Il ricordo di chi ha conosciuto davvero questo diplomatico d'altri tempi scomparso troppo presto

Diplomatico coraggioso, signore d’altri tempi, amico in prima linea, Mainardo Benardelli de Leitenburg era questo e altro per chi l’ha conosciuto. Semplicemente Maynard, per tutti quelli che inseguono ancora l’avventura attraverso il giornalismo, la diplomazia o qualsiasi altra professione in mondi esotici sognando Corto Maltese.

Ci ha lasciato due notti fa, in un attimo, dopo aver comprato con orgoglio dei lampadari in cristallo di Boemia per la casa che arredava con raffinatezza a Roma.

Ambasciatore d’Italia in Guatemala, forse, era entrato nel mirino di un boss del narcotraffico per una vicenda di bulli e pupe. Nel mondo spesso arido delle feluche l’hanno considerato una macchia sulla carriera. Per la storia di Maynard sarebbe stato un altro capitolo delle memorie di un diplomatico controcorrente, che amava i piaceri della vita senza mai venir meno al suo dovere.

Questa storia, però, ha lasciato a Benardelli un pesante amaro in bocca per l’algida freddezza della Farnesina.

L’avevo conosciuto in Uganda, la sua prima destinazione all’estero, fra guerriglie e genocidi. Giovane diplomatico alle prime armi, l’Africa gli era entrata nel cuore. Forse per il sangue del padre Gualtiero che gli scorreva nelle vene. Un Lawrence d’Arabia italiano, che durante la seconda guerra mondiale diede del filo da torcere agli inglesi al comando di bande a cavallo somale.

Come il padre è stato prima alpino e poi diplomatico senza mai dimenticare la penna nera e la sua terra, Gorizia ed il Friuli.

Lontano dagli sponsor cercava le sedi più disagiate, che le altre feluche scartavano e non si tirava mai indietro. A Bagdad, dopo la caduta di Saddam, ti sarebbe venuto a recuperare anche all’inferno, se necessario. Durante uno degli innumerevoli casini combinati da noi giornalisti spuntò Maynard a risolvere la situazione, con una giubba mimetica sopra giacca e cravatta accompagnato da un manipolo di scorta del 9° Col Moschin.

Anche nello Sri Lanka della sanguinosa guerra con le Tigri Tamil si è distinto per non nascondersi dietro la pavidità burocratica. E nell’ultima avventura in Guatemala è stato Maynard a trovare una casa famiglia per Carlos e Izabel, i fratellini abbracciati davanti ai loro genitori massacrati in un regolamento di conti, che hanno commosso il mondo.

Nei periodi a Roma alla Farnesina si annoiava a morte. Quando doveva scegliere la nuova destinazione all’estero, fra le varie opzioni, si consultava con gli amici. Non decideva per calcolo di carriera, ma per spirito d’avventura attratto dai posti “dove la vita è più complicata”, come ha scritto Toni Capuozzo su il Foglio.

Maynard non era solo un diplomatico, ma un signore per natura e tradizione. A Natale, nell’era degli sms e delle mail, ti mandava ancora una frase di augurio non scontata e vergata di suo pugno su un cartoncino con la penna stilografica. Scrittore e amante della letteratura ti poteva chiedere di trovargli il testo più inconsueto e sconosciuto, come “Farmacie triestine tra Settecento e Ottocento”, da far avere ad un’amica.

Maynard non chiedeva mai un favore per la carriera, ma piuttosto una recensione sui libri della sua famiglia, che come lui facevano parte di tempi e modi cavallereschi oggi perduti.
Mainardo Benardelli de Leitenburg se ne è andato ad un passo dai 50 anni. Ci mancherà, ma come dicono gli alpini come lui è solo “andato avanti”.

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Fausto Biloslavo