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MARWAN NAAMANI/AFP/Getty Images
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Libia, il ruolo del Qatar e l'appoggio allo Stato Islamico

Il nuovo emiro vuole passare alla storia come artefice dell'unità del mondo musulmano, e lo fa puntando tutto sul Califfato

Tre giorni fa, il 17 febbraio 2015, l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad al-Thani, si è recato in visita ufficiale in Arabia Saudita per discutere con il nuovo re saudita Salman, di questioni che intercettano gli interessi vitali per le due petromonarchie sunnite: Yemen, e dunque la ribellione sciita nel Paese, Egitto e Libia. Qatar e Arabia Saudita sono state additate entrambe come responsabili della creazione del Califfato Islamico, una creatura inumana di cui, come nel romanzo Frankenstein di Mary Shelley, il padrone ha poi perso il controllo.

Ciò è vero, ma solo in parte. Riad, capitale del regno saudita, in passato ha effettivamente sostenuto con armi e dollari gli insurgents che hanno infiammato Africa e Medio Oriente durante le Primavere Arabe e ha giocato un ruolo ambiguo anche in tempi recenti. Pur tuttavia, questa responsabilità è da addossare soprattutto alle iniziative di uomini e società private e non alla casa reale, ben più prudente rispetto ai suoi ventotto milioni di cittadini. Doha, capitale del piccolo emirato (appena due milioni di abitanti), si è invece spinta oltre, grazie anche al suo megafono mediatico Al Jazeera, e ha proseguito a giocare un ruolo di protettore e di regista, nel senso stretto della parola. 


Doha e la scuola di regia dello Stato Islamico

Vi siete mai chiesti come possono essere così ben confezionati i video dello Stato Islamico che mostrano le esecuzioni degli “infedeli”? Secondo fonti ben inserite nel contesto del Golfo, quei video spaventosi vengono realizzati da registi e filmakers che hanno preso parte a corsi intensivi di regia, tenuti proprio a Doha. 

Non è la pistola fumante, certo, ma la dice lunga sulla vicinanza culturale del Qatar con il jihadismo di Raqqa e Mosul. Del resto, Doha ha finanziato già i ribelli del Nord del Mali, i Fratelli Musulmani in Tunisia e Libia, e ha supportato politicamente e finanziariamente l’Egitto di Mohammed Morsi (con oltre 2 miliardi e mezzo di dollari), poi defenestrato dal golpe militare di Al Sisi. 

Nel 2012, ai tempi della presidenza Morsi, esponente della Fratellanza e fautore di un ritorno alla Sharia in Egitto, l’intelligence qatarina suggerì al presidente di formare un’intera compagnia di uomini, scelti tra i Fratelli Musulmani, per agire come forza di sicurezza di fedelissimi del presidente, al pari dei Guardiani della Rivoluzione in Iran. I servizi di Doha avevano informazioni precise di un tentativo di colpo di Stato da parte del potente esercito egiziano, che puntualmente si verificò. Oggi, coerentemente, Doha ritira il proprio corpo diplomatico dal Cairo per protesta contro “l’invasione” egiziana in Libia. 

Hamad bin Khalifa al-Thani, padre dell’attuale emiro del Qatar, è stato considerato un campione di diplomazia: nonostante molte proteste arabe, l’emiro ha permesso a Israele di aprire una missione commerciale a Doha già nel 1996, e da allora mantiene relazioni con delegazioni israeliane e il suo ministro degli esteri ha visitato Israele più volte.

Al Thani è stato anche il primo a ristabilire le relazioni diplomatiche con l’Iraq dopo la guerra del Golfo del 1991 e ha sempre cercato di impedire il confronto militare con gli Stati Uniti. È anche stato l’unico leader arabo a visitare Beirut dopo la guerra tra Hezbollah e Israele nel 2006 e ha offerto generose donazioni per la ricostruzione del Libano. Nello stesso anno, il Qatar ha anche ottenuto un seggio di membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell’ONU.


Il nuovo spregiudicato emiro 

Dal 2013, però, l’emiro del Qatar è divenuto Tamim bin Hamad al-Thani, che ha costretto il padre ad abdicare (come suo nonno prima di lui) e ha mostrato un atteggiamento assai più azzardato in politica estera. Se prima il Qatar sognava un ruolo di federatore dell’Islam moderato, oggi il nuovo emiro si è convinto di agire in nome di qualcosa che va oltre il profitto economico. Stanco di avere tutto, Tamim ha sposato una causa nobile, almeno dal suo punto di vista. Ovvero vuole essere ricordato come colui che ha risollevato il mondo arabo, come già in parte voleva fare suo padre. 

Tamim però, più che la Realpolitik del genitore usa piuttosto la Weltpolitick, ovvero un’aggressiva strategia politica per ottenere “un posto al sole” nel panorama internazionale, proporzionale alla sua crescente forza e influenza economica. Se prima il Qatar puntava sui Fratelli Musulmani e sui regimi democraticamente eletti per conquistare l’Islam, oggi la traduzione materiale di questo impegno sono invece le milizie dello Stato Islamico, che predicano una nuova forma  d’impero, il Califfato Islamico.

Dove porterà tutto questo? Il Qatar ha molti soldi e la migliore rete televisiva del Medio Oriente. Con petroldollari può combattere guerre per procura contro il potente vicino saudita e contro il nemico storico iraniano. Con i videomaker del Califfato e Al Jazeera può fare propaganda sfacciata in tutto il mondo (Al Jazeera ha anche un’edizione in inglese che tecnicamente vale quanto BBC o CNN). Il problema è che Doha è un piccolo e spregiudicato attore immerso nelle più grandi dinamiche del Golfo Persico. 

Se Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, con l’aiuto del Bahrain, decideranno di rimetterlo nei ranghi, l’emirato dovrà infatti abbassare la testa. Questo non è ancora successo, ma se il sostegno al Califfato di Al Baghdadi dovesse continuare, è probabile che succeda. 

I video dell'Isis, la regia dell'orrore

Un frame del video dell'Isis pubblicato dal sito Site dal titolo "Un messaggio firmato con il sangue alla Nazione della Croce", che mostra la decapitazione "di decine" di persone in Libia, 15 febbraio 2015. ANSA/SITE

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Luciano Tirinnanzi