Le crepe di Merkel e Hollande
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Le crepe di Merkel e Hollande

Le sconfitte elettorali. I sondaggi a picco. Il timore di nuovi attentati. Sta davvero per chiudersi un'epoca in Europa?

 

Quando, lo scorso luglio, le chiesero se avesse intenzione di ricandidarsi, Angela Merkel rispose con un "se ne parlerà a tempo debito". Risposta alquanto preoccupante per gli elettori della Cdu, vista la prossimità del voto (settembre 2017) e l'esigenza di partire con la campagna elettorale. Non sarà facile ottenere la quarta conferma. La sua popolarità resta salda (44 per cento secondo un recente sondaggio del canale televisivo Ard), ma non basta. Quello che le serve è un cambio di marcia, come dimostra la sconfitta alle elezioni regionali del piccolo Meclemburgo-Pomerania, peraltro suo collegio elettorale. A stupire non è stata tanto la vittoria dei socialdemocratici con il 30,6 per cento (erano già maggioranza), quanto il secondo posto di Alternative für Deutschland (20,8 per cento a scapito del 19 per cento dei cristiano-democratici).

Il sorpasso arriva da destrae non potrebbe essere altrimenti. Le politiche dell'accoglienza dell'ultimo biennio hanno ricompattato la destra tedesca, già orfana di un partito liberale (Fdp) ormai in disgregazione e che non trova più referenti nella Cdu. La crisi di identità ("La Merkelè di centro-destra o no?") trova il suo primo alleato nella Csu, la cugina bavarese dei cristiano-democratici (che lì, appositamente, non presentano una propria lista elettorale), che da tempo si batte per un restringimento delle frontiere. Horst Lorenz Seehofer, il suo presidente, ha più volte minacciato di togliere l'appoggio al governoo di candidarsi lui stesso a cancelliere. Difficile che la Merkel lo accontenti pubblicamente contraddicendo quanto fatto finora, ma il problema è sul banco in attesa di una soluzione tutt'altro che scontata.

Non va meglio con la politica estera, Erdogan e crisi russo-ucraina in primis. Secondo i servizi segreti tedeschi, la Turchia è "la piazza principale per il sostegno ai gruppi islamici". Si sospetta che il leader turco stia chiudendo un occhio per ricattare i leader europei, a partire dalla Merkel, sia sulla questione finanziamenti migranti sia sulla sua deriva autoritaria.E se con Putini rapporti sembrano essersi distesi dopo l'endorsement della cancelliera al recente G-20 ("Credo che il presidente russo abbia una grande influenza sulla questione sirianae sul possibile cessate il fuoco"), resta alta l'attenzione sull'Ucraina. "Putin trama segretamente per rovesciare la Merkel" ha scritto sul proprio sito il think tank "Atlantic Council". Per la cancelliera è tempo di guardarsi le spalle. O, addirittura suggeriscono alcuni, di andarsene adesso, ancora da vincente. ( - da Berlino) ra che Emmanuel Macron, già ministro dell'Economia, ha abbandonato il governo, il re è rimasto solo. Solo davvero.

François Hollande, chiuso nell'Eliseo, si appresta a trascorrere gli ultimi otto mesi di mandato. Ma i consiglieri più fidati sussurrano che lui "ci crede ancora". Che potrebbe partecipare alle primarie dei socialisti e poi, di nuovo, alle presidenziali. Con quale coraggio? Guardarsi indietro, all'ora dei bilanci, potrebbe rivelarsi per Hollande alquanto imbarazzante. Nel 2012, quand'era stato eletto, le promesse più forti riguardavano l'economia. Quasi cinque anni dopo, un milione e 80 mila persone si sono aggiunte all'esercito dei disoccupati. Il deficit pubblico sul Pil è calato dal 4,8 per cento nel 2012 al 3,5 per cento nel 2015 (appena andato al potere, aveva promesso il3 per cento nel 2013e la parità quest'anno). Nonè tutto. Nel 2014, 19,2 milioni di famiglie hanno visto aumentare le imposte mentre 4 milionie 800 mila hanno beneficiato di uno sconto: una situazione solo parzialmente rivista negli anni successivi. Più o meno tutti concordano nel dire che per rilanciare l'economia occorre intervenire sulla flessibilità del mercato del lavoro. Hollande ha deciso di affrontare il tema solo qualche mese fa, con la legge El Khomri (dal cognome di Myriam, volenterosa ma inesperta ministra del Lavoro), mai discussa con i sindacati prima dell'inizio dell'iter parlamentare.

A forza di compromessi, si è ridotta a un testo senza ambizioni, che ha scatenato la piazza con violenti proteste. Hollande si è trovato di fronte un ostacolo imprevisto: il terrorismo. E ancora oggi la macchina dell'intelligence fatica a costruire un sistema di "infiltrati" negli ambienti jihadisti: ci ha messo mesi per capire che bisognava curiosare sui social network criptati come Telegram, dove giovani invasati si scambiavano tranquillamente informazioni per organizzare nuovi attentati. Dal presidente socialista del Paese che si autoproclama "culla dei diritti dell'uomo" qualcuno si aspettava una politica forte e coraggiosa almeno sui migranti. L'esempio vivente del fallimento francese è la bidonville di Calais, la più grande concentrazione di migranti d'Europa (oltre 10 mila persone). In quasi cinque anni, Hollande non ci ha mai messo piede. Il "re solo" rimane chiuso all'Eliseo, macinando nuove strategie e improbabili rivincite. Senza voltarsi indietro. Meglio così.

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