Primarie USA, Donald Trump
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Kasich, Cruz, Ryan: chi fermerà Donald Trump?

Il profilo dei tre possibili sfidanti del miliardario newyochese per la nomination repubblicana

Riuscirà Donald Trump a raggiungere i 1237 delegati necessari per ottenere la nomination prima del 7 giugno 2016, quando si chiuderà in California la lunga stagione delle primarie? E nel caso non dovesse farcela, fermandosi come suggeriscono i principali sondaggisti a un centinaio di delegati in meno di quelli necessari, che cosa accadrà a Clevelant, durante la Convention repubblicana? Come si schiereranno i 132 superdelegati, cioé quei parlamentari, governatori, ex presidenti che rappresentano la macchina elettorale del partito e che possono votare liberamente il loro candidato preferito?  Che cosa farà il corpaccione del Partito repubblicano, in gran parte ostile al miliardario newyorchese? 

I possibili sfidanti di Trump in campo repubblicano sono tre. E tutti e tre, non sgraditi all'establishment. Certamente, non quanto Trump, il cui passato di elettore democratico e presente estremista lo rendono indigesto alla maggioranza di un partito. Un partito che, complice l'irreversibile declino demografico dei bianchi americani (divenuti nel 2015 per la prima volta minoranza negli Stati Uniti) fatica (a differenza dei democratici) ad allargare la sua tradizionale base elettorale.

Elezioni Usa 2016

Primarie USA Repubblicani, john Kasich10 febbraio 2016. Il candidato repubblicano John Kasich parla ai sostenitori al Finn's Brick Oven Pizza di Mt. Pleasant, in South Carolina. Sean Rayford/Getty Images


Il primo possibile competitor è John Kasich, sessantaquattro anni, il governatore dell'Ohio vincitore qualche settimana fa alle primarie del suo Stato, con il 46,8% dei suffragi. Fin qui, ha ottenuto 143 delegati, seicento in meno di Donald Trump. Molti, forse troppi, meno.  Tra i possibili sfidanti di Trump, Kasich è però quello, forse, con il profilo ideologico più moderato, certamente molto conservatore sul piano dei diritti civili e sui temi fiscali, in linea con la tradizione ideologica repubblicana, ma anche pragmatico e navigato (fa parte del Congresso dal 1982), capace di parlare con tutti. 


paul-ryanPaul RyanWin McNamee/Getty Images

La seconda ipotesi è quella di Paul Ryan, il quarantacinquenne, potentissimo, speaker della Camera dei Rappresentanti che ha nel suo Wisconsin la sua principale base elettorale. Nemico giurato di Donald Trump, che considera estremista e demagogico, Ryan non si è nemmeno candidato alle primarie repubblicane, ma potrebbe essere il classico conglio dal cilindro qualora, a Cleveland, non vi fosse una maggioranza chiara e i veti incrociati tra le varie correnti del partito producessero uno stallo prolungato. Favorevole a una legge che preveda la punibilità di quei centri che praticano l'interruzione di gravidanza, contrario all'Obamacare e al cosiddetto marriage-equality, Ryan - che siede alla Camera dal 1997 - è considerato  un moderato, gradito all'establishment, capace anche di dialogare trasversalmente, come impone il suo ruolo di speaker, con tutti i componenti del Congresso.


Il senatore del Texas Ted CruzEPA/JIM LO SCALZO

La terza ipotesi, quella che in queste ore si sta facendo largo con più insistenza, porta a Ted Cruz, carismatico senatore texano che ha tra gli evangelici una delle sue più solide basi elettorali. Le sue posizioni politiche sono sempre state piuttosto estreme: è contro i matrimoni gay, contro l'aborto, contrarissimo a qualsiasi forma di controllo delle armi, all'Obamacare, a qualsiasi ipotesi di tasse sui ricchi, alla legalizzazione della marijuana. Molto si è discusso della proposta di Trump di vietare l'ingresso nel Paese agli immigratidi fede islamica. Molto meno si è parlato della proposta di Cruz di consentire l'ingresso negli Stati Uniti soltanto ai cittadini di fede cristiana.

La differenza con Trump, più che politica, è anche e soprattutto di stile. Ted Cruz non è meno estremista del miliardario newyorchese, ma è un estremista in giacca e cravatta, senza le mattane tipiche del suo avversario. È, come immagine, più rassicurante e responsabile. Fino ad oggi, alle primarie, ha ottenuto 511 delegati, 232 in meno di Trump. È lui l'unico candidato seriamente in corsa alle primarie per fermare il miliardario. Ed è su di lui che l'establishment del partito potrebbe dirottare i  voti, qualora Trump - dopo la scontata vittoria alle primarie newyorchesi - dovesse continuare a correre speditamente verso la  soglia dei 1237 delegati. È certo che il GOP non starà a guardare, senza fiatare, all'incoronazione dell'outsider. Il problema è trovare, a breve, l'AntiTrump che metta d'accordo tutte le componenti del partito.

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Paolo Papi