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Italiani in coda per diventare tedeschi

Fra gli stranieri che chiedono la cittadinanza, i nostri connazionali sono il gruppo che cresce di più

Sempre più italiani ottengono la cittadinanza tedesca: 2.754 nel 2013, il 25,1 per cento in più rispetto all’anno precedente. Si tratta della crescita più rilevante fra tutte le comunità di immigrati che chiedono il passaporto della Germania: i nostri connazionali sono seguiti da ucraini (+23 per cento) e polacchi (+21,5 per cento). «E pensare che, fra gli italiani, il tasso di naturalizzazione è sempre stato basso rispetto ad altri gruppi» spiega Edith Pichler, politologa di origine sudtirolese docente all’Istituto di economia e scienze sociali dell’Università di Potsdam.


Diventare tedeschi permette di votare e di candidarsi alle elezioni nazionali, oltre che di evitare qualsiasi espulsione. «Ma quest’improvviso aumento è collegato al fatto che nel 2013 scadeva il termine per chi è nato in Germania da genitori stranieri (quindi anche italiani) per decidere quale cittadinanza scegliere compiuti i 18 anni». A differenza dell’Italia, negli ultimi tempi la Germania non consentiva la doppia cittadinanza (la legge è di nuovo cambiata nel luglio 2014). «Ormai esiste una comunità di italotedeschi, conseguenza delle migrazioni degli anni Settanta e Ottanta» aggiunge Pichler. Diverso è il caso degli italiani di recente immigrazione. Solo chi vive in Germania da almeno 8 anni può chiedere la cittadinanza. E il limite potrebbe allungarsi.


 «Sempre più  stranieri si trasferiscono per godere del sostegno offerto dallo stato sociale» prosegue Pichler. «Ma a breve il governo rivedrà le norme restringendo gli aiuti». Secondo l’Institut für Arbeitsmarkt und Berufsforschung (Istituto per il mercato e la ricerca del lavoro), la comunità italiana è composta da 520 mila persone. Più numerosi sono solo i turchi: 1,6 milioni.  L’afflusso è continuo e non sembra destinato a fermarsi. «Molti sono diretti a Berlino, illusi dai media che parlano della capitale come del nuovo Eldorado» osserva Pichler. «Purtroppo non è così». Ma, con una disoccupazione giovanile superiore al 40 per cento, tornare in Italia sarebbe un rischio più alto

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