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Immigrazione e rotte africane, ora l'Europa si è mossa

Misure concertate per fermare i "migranti economici". Le possibilità di successo e i rischi: soprattutto perché a Parigi mancava la Nigeria

I DATI

Da gennaio a oggi sono 98mila le persone che hanno abbandonato il continente africano e sono riuscite ad attraversare il Mar Mediterraneo raggiungendo le coste italiane a bordo di mezzi improvvisati.

Un dato che segnala un -10% di arrivi rispetto allo stesso periodo del 2016, quando invece gli sbarchi toccarono quota 109mila.

In particolare, è il dato di agosto a segnalare che l’inversione di tendenza è reale: infatti, mentre nel 2016 furono 21mila i migranti sbarcati in porti di fortuna o recuperati in mare, nel mese delle ferie per eccellenza il loro numero quest’anno si è arrestato a quota 3235, con una diminuzione sensibile anche delle vittime recuperate nel canale di Sicilia o in prossimità delle nostre coste.

Il trend appare davvero incoraggiante, anche se in realtà è iniziato soltanto a luglio, visto che fino a giugno il numero di sbarchi è stato il più alto degli anni precedenti. Ma il brusco calo di luglio e agosto - considerato il periodo migliore per tentare le traversate lungo la rotta Libia-Italia - è significativo del fatto che qualcosa sta accadendo.

PERCHÉ DIMINUISCONO GLI SBARCHI

Di chi è dunque il "merito" di questo risultato?

Non può certo essere effetto dell’accordo euro-africano sulle migrazioni, visto che la Conferenza di Parigi sul tema si è tenuta soltanto lunedì 28 agosto.

Piuttosto, è stato un mix di circostanze e ostacoli pratici:

Così si è rallentato il flusso migratorio verso il nostro paese.

Ciò nonostante, l’impegno condiviso a Parigi dai leader di Italia, Francia, Germania e Spagna, insieme con i rappresentanti di tre paesi africani presenti - Niger, Ciad e Libia - segna un punto in favore del consolidamento di questa tendenza per i mesi che restano e, questo almeno è l’auspicio, per gli anni a venire.

PAESI ASSENTI

Anche se, a dirla tutta, è pesata enormemente l’assenza dei rappresentanti di Nigeria, Guinea, Mali, Gambia, Senegal e Sudan, ovvero i principali paesi (la Nigeria è in testa con il doppio dei migranti della seconda in classifica, la Guinea) da cui proviene la stragrande maggioranza dei migranti. E perciò, interlocutori ineludibili nel futuro prossimo.

LA SITUAZIONE POLITICA LIBICA

E, ovviamente, sulla stabilizzazione delle rotte migratorie pesa ancora come un macigno la pessima situazione politica libica, visto che il paese è il principale hub delle partenze da tutta l’Africa, ma soprattutto visto che un governo libico non esiste più, mentre ce ne sono almeno due, uno a Tripoli e uno a Bengasi, che si contendono il controllo del territorio nazionale.

Senza contare il peso crescente delle organizzazioni di trafficanti umani, che ancora oggi dall’ovest libico ricattano tutte le parti in causa, Italia compresa.

COSA SI È DECISO A PARIGI?

Ciò detto, Parigi resta un passo avanti. Ma cosa si è deciso?

È stata proposta l’introduzione di un sistema amministrativo che d’ora in avanti dovrebbe permettere ai migranti che intendono raggiungere l’Europa via Libia, di sottoporre la propria domanda di asilo o simili richieste di protezione internazionale direttamente in Ciad e Niger, ovvero due dei principali territori di transito per i migranti (purtroppo non gli unici, vedi ad esempio la rotta Costa d’Avorio-Mali-Algeria e la rotta Eritrea-Egitto).

MIGRANTI ECONOMICI

Nelle intenzioni dei leader europei, la presenza di questi hot spot in Ciad e Niger dovrebbe scoraggiare a priori i cosiddetti "migranti economici" - ovvero la stragrande maggioranza dei migranti in generale (sono i numeri a dirlo, non le opinioni politiche) - dall’intraprendere quei durissimi viaggi della speranza risalendo l’Africa subsahariana verso le coste nordafricane, perché per tutti loro vi sarebbe la certezza dell’impedimento a ottenere lo status di rifugiato in Europa.

Dunque, verrebbe meno la possibilità di entrare nel continente e i trafficanti di esseri umani non avrebbero più modo di alimentare questa falsa speranza.

“AIUTIAMOLI A CASA LORO”

Solo chi ha timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, infatti, può ragionevolmente sperare di ottenere lo status di rifugiato (le norme che disciplinano l’asilo sono regolate a livello comunitario dal Regolamento cosiddetto “Dublino II”). Per gli altri, c’è soltanto la sorte a decidere al posto loro. Da oggi, questo sistema potrebbe in parte arrestarsi.

Il progetto parigino si sostanzia, infatti, nella creazione di punti di raccolta e di richiesta in Africa, come conseguenza di ciò che il presidente francese Macron aveva lasciato trapelare non più di un mese fa attraverso voci di corridoio dell’Eliseo e come conseguenza di ciò che l’ex premier italiano Renzi nel suo libro Avanti (Feltrinelli, 2017) aveva definito “aiutiamoli a casa loro”, mutuando precedenti campagne leghiste e della destra italiana, spesso infelici sia nei toni che nei modi. La proposta, tuttavia, è una vittoria proprio di questa linea.

Resta da considerare che la linea espressa da Parigi trova un primo grande ostacolo nell’impraticabilità del controllare efficientemente le frontiere del Ciad e del Niger, i cui governi vivono e restano in piedi anche grazie alla dilagante corruzione, cui ora si dovranno sostituire sostanziosi finanziamenti provenienti dall’Unione Europea, tali da scoraggiare il sistema corruttivo e corrotto di quelle amministrazioni.

Un ulteriore ostacolo nella determinazione dei migranti economici di voler forzare il destino e tentare comunque di raggiungere l’Europa, con o senza una patente di diritto.

Ma trova anche una possibilità di riuscita, se si guarda ai casi “virtuosi” in cui il sistema ha bene o male funzionato: è accaduto così con la chiusura della rotta balcanica, ovvero quando l’UE ha pagato dazio alla Turchia per chiudere il corridoio che conduceva i migranti fino in Germania (un “ricatto” da oltre un miliardo di euro); e sta accadendo con la diminuzione degli sbarchi dalla Libia in Italia verificatasi negli ultimi due mesi, dovuta anche al prezzo pagato - non sempre alla luce del sole - dal governo di Roma direttamente alle tribù locali (o supposte tali) che controllano in parte le rotte nordafricane.

Cosa che ha consentito al ministro dell’Interno Minniti di presentare ad agosto quelle statistiche incoraggianti di cui sopra.

La sfida è enorme, ma si deve pur tentare.

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Luciano Tirinnanzi