Elezioni in Gran Bretagna, il rischio ingovernabilità
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Elezioni in Gran Bretagna, il rischio ingovernabilità

I sondaggi indicano un testa testa fra i Tories di Cameron e il Labour di Miliband. L'incognita scozzese e le ripercussioni sulla Ue

Oggi il Regno Unito al voto per la Camera dei Comuni, in una delle elezioni più incerte della storia del paese, almeno secondo i sondaggi.
I 45 milioni di elettori devono rinnovare 650 seggi - si vota dalle 7 alle 22 locali.
Il risultato avrà anche un impatto significativo sul futuro dell'Unione europea.

Sondaggi
I sondaggi danno ancora molti vicini i due maggiori contendenti: secondo l'ultima rilevazione Opinium, i conservatori, il partito dell'attuale premier, David Cameron, viene accreditato di un 35%, a fronte del 34% assegnato agli sfidanti del Labour di Ed Miliband.
Situazione che ha portato gli analisti a ipotizzare vari scenari per coalizioni di governo, con molti che hanno sottolineato il rischio di ingovernabilità determinato dal cosiddetto "Hung Parliament", vista l'improbabilità che uno dei due principali partiti conquisti i 326 seggi della maggioranza assoluta.

Scenari possibili
Dall'esecutivo di coalizione - ad esempio, una riedizione dell'attuale alleanza fra Tories e Lid-dem - alla grande coalizione alla tedesca tra conservatori e laburisti fino al governo di minoranza, il cui 'spauracchio' è stato sapientemente agitato da Cameron, che ai moderati inglesi e alla City ha paventato un esecutivo Labour con appoggio esterno (e conseguenti ricatti) degli indipendentisti scozzesi.

Conservatori, Cameron
Leadership forte e un chiaro programma economico: è stato questo il manifesto del primo ministro in carica, il leader Tory, che vantare di aver guidato la Gran Bretagna fuori dalla crisi economica e ha promesso un referendum entro il 2017 sull'Unione Europea.

Laburisti, Miliband
"La Gran Bretagna può fare meglio", è stato, invece, lo slogan dei laburisti che contestano a Cameron una ripresa troppo lenta, un'eccessiva pressione fiscale e troppi tagli alla spesa pubblica, soprattutto al sistema sanitario nazionale, uno degli argomenti chiave di queste elezioni. Miliband ha addirittura fatto scolpire sulla pietra i punti del suo programma, galvanizzando il tradizionale humour britannico. Così 'Ed il Rosso' è diventato 'Ed-stone' e i tabloid si sono scatenati nel paragonarlo a Mosè, giocando sulle sue origini ebraiche.

Sturgeon, Scottish National Party
La leader dello Scottish National Party, Nicola Sturgeon, è stata senza dubbio la vera star della corsa elettorale e i media, in omaggio al suo piglio di ferro, l'hanno già ribattezzata "Nicola Stuarda". La 44enne ha letteralmente 'bucato' lo schermo nei dibattiti tv e alcuni pronostici arrivano ad assegnare al suo partito ben 50 seggi sui 59 in gioco in Scozia, un risultato che sarebbe senza precedenti.

Farage, Ukip
"Se non vengo eletto, mi dimetto" è stato invece l'annuncio del rampante euroscettico Nigel Farage, numero uno del partito independentista britannico. Il suo Ukip ha sfondato alle elezioni europee, raccogliendo più voti di tutti nel Regno Unito, ma stavolta non sarà facile ripetere l'impresa. L'ultimo sondaggio lo accredita del 12% e il sistema elettorale - 'first past the post', un maggioritario uninominale che premia i partiti ben radicati nei collegi - potrebbe penalizzarlo.

Clegg, Lib-dem
Quanto ai Lib-dem, il 48enne leader Nick Clegg, vicepremier in carica, sembra aver perso smalto; dal boom delle elezioni del 2010, quando i suoi totalizzarono addirittura un 23%, l'astro nascente della politica britannica non ha mai davvero spiccato il volo, forse soffocato dall''abbraccio mortale' dei 5 anni di governo coi Tories. La sua formazione viene data all'8%.

Il futuro dell'Unione europea
Il voto britannico di oggi "sarà un punto di svolta per l'Unione europea, comunque vada". È la sintesi cui arrivano praticamente tutti gli analisti di qua e di là della Manica. E se ufficialmente a Bruxelles ci si limita ad "attendere il risultato", ai piani alti delle istituzioni europee è chiaro che il giorno delle elezioni in Gran Bretagna potrebbe essere il giorno che cambierà la storia della Ue, già messa a dura prova dall'interminabile crisi della Grecia, ed avviarla - nella migliore delle ipotesi - verso quella "doppia velocità" che prima della nascita dell'euro sembrava impensabile.

Gli esperti della Chatham House, il più autorevole istituto britannico di studi di politica estera, affermano ad esempio che "i rischi per la posizione della Gran Bretagna in Europa e, di conseguenza, per la sua influenza internazionale sono inevitabili, a prescindere da chi vincerà le elezioni".
Il punto, secondo il direttore Robin Niblett, è che in caso di vittoria di Cameron, il premier dopo la riconferma "dovrà comunque mantenere la promessa" di un referendum nel 2017, di fatto favorendo se non l'uscita di Londra dalla Ue, quanto meno una revisione delle relazioni con la Ue.
Ma anche in caso di successo laburista, se anche Miliband "cercherà di rimandare la fatidica decisione", è certo che "i conservatori diventeranno ancor più euroscettici". In "entrambi i casi" quindi, conclude Niblett, "il Regno Unito è in procinto di entrare in un periodo di grande incertezza sul suo futuro europeo".

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Redazione