Egitto, un voto dominato dalla paura
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Egitto, un voto dominato dalla paura

Gli egiziani andranno al voto tra sabato e domenica per eleggere un  Presidente che governerà per alcuni mesi senza Costituzione e  Parlamento. In un'atmosfera di confusione e rassegnazione

“Ormai hanno distrutto tutto quello che abbiamo ottenuto in questi mesi, non possiamo che rassegnarci”. Khaled osserva la televisione, scuote la testa e cambia canale. Lui, come tanti altri ragazzi che hanno fatto la rivoluzione, vive queste ore con la consapevolezza di essere stato sconfitto. Non è più tempo di cambiamenti in Egitto e il risultato del secondo turno delle prossime elezioni, sia che vinca Shafiq sia che trionfi Mursi, è che ha perso la rivoluzione laica e liberale, sognata dai ragazzi di piazza Tahrir.

Gli egiziani andranno al voto tra sabato e domenica per eleggere un Presidente che governerà per alcuni mesi senza Costituzione e Parlamento. La Corte Costituzionale ha deciso ieri che il trenta per cento dei deputati sono stati eletti con una legge elettorale incostituzionale e che forse si dovrà tornare alle urne. I lavori sulla Costituzione procedono con lentezza, tra i compromessi dei partiti e le pressioni dei militari che vogliono avere un ruolo politico anche nell’Egitto di domani.

In questa atmosfera di confusione e rassegnazione passano in secondo piano i candidati che si sfideranno per succedere all’ex presidente Mubarak. Da una parte c’è Mohamad Mursi, l’ex leader del partito “Libertà e Giustizia”, espressione politica dei Fratelli Musulmani. Dall’altra c’è Ahmed Shafiq, primo ministro durante la rivoluzione di un anno e mezzo, considerato un uomo politico vicino ai militari.

Mohamad Mursi è il favorito. Su di lui confluiranno sia molti voti dei liberali, circa il ventidue per cento degli egiziani che hanno scelto Hamdeen Sabbahi, sia le preferenze della quasi totalità degli Islamisti riformisti che al primo turno hanno preferito Abdel Fotouh, garantendo a questo candidato il diciassette per cento dei consensi. La somma di questi voti e delle preferenze ottenute da Mursi garantirebbe un tranquillo sessantasette per cento al candidato dei Fratelli Musulmani.

Tuttavia queste elezioni potrebbero riservare delle sorprese perché sarà un voto dominato dal sospetto e dalla paura.

Da una parte c’è chi teme l’attivismo politico dei militari e dei membri dell’ex regime e voterà Mursi nella speranza di evitare che la fragile democrazia egiziana si trasformi in dittatura militare. Molti egiziani hanno reagito con rabbia alla decisione della Corte Costituzionale di sciogliere il Parlamento e temono che i vertici militari intendano creare le condizioni per un colpo di Stato. La prova di questo piano, dicono alcuni, è la decisione del ministro della giustizia di autorizzare la polizia militare ad arrestare i civili, concedendo agli uomini in uniforme un diritto che spettava soltanto alla polizia.

Dall’altra c’è chi teme uno Stato religioso e pensa che Mursi nasconda un’agenda islamista per portare l’Egitto alla teocrazia. La verità è che i Fratelli Musulmani hanno perso molti consensi a causa della loro politica ambigua che ha alternato aperture ai militari, concessioni ai laici e dichiarazioni bellicose per compiacere gli egiziani più islamisti. In effetti, è difficile capire cosa vogliano fare davvero i Fratelli Musulmani che un giorno parlano di Shari’a e sognano di restaurare l’impero Islamico con Gerusalemme capitale, e l’altro rassicurano i “fratelli cristiani” e sottolineano che questi avranno pieni diritti nel nuovo Egitto, nonostante la legge islamica.

Il prossimo presidente dell’Egitto dovrà fare i conti con un paese che appare sempre più spaventato e rassegnato. Le proteste in piazza Tahrir si stanno facendo sempre meno numerose e tutto lascia pensare che la rivoluzione abbia ormai perso la sua forza. Tuttavia mai come in questi mesi le idee liberali della piazza si sono diffuse tra i giovani egiziani, come testimoniano il ventidue per cento dei voti ad Hamdeen Sabahi e il diciassette per cento dei consensi da Abdel Fotouh.

I ragazzi che hanno fatto la rivoluzione sfogano la loro delusione su internet e si sono ormai isolati, delusi dalla piega degli eventi. È una sensazione che Gamal spiega così: “quando siamo scesi in piazza nel 2011 qualcuno ha iniziato a parlare di una nazione che, dopo la rivoluzione, ha eletto di nuovo il primo ministro deposto. Ci siamo messi a ridere all’idea che potesse succedere in Egitto. Ora Shafiq rischia di vincere le elezioni”.

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Matteo Colombo

Vive tra Ankara e Il Cairo per studiare arabo e turco. Collabora con  diversi siti di politica internazionale. Le sue grandi passioni sono  l’Egitto, la Siria e la Turchia

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