Ecco come il Cremlino ha interferito con i social nelle presidenziali Usa
News

Ecco come il Cremlino ha interferito con i social nelle presidenziali Usa

Un nuovo capitolo nel Russiagate: migliaia di account falsi per condurre su Facebook una massiccia campagna di disinformazione

Il sospetto c’era, ora dopo le ammissioni (e la collaborazione) di Facebook abbiamo la conferma: la Russia usa i social network per fare politica.

Ma come? Mentre l’inchiesta sul Russiagate guidata dal procuratore speciale Robert Mueller si allarga e non promette niente di buono per Trump, Mr. Facebook, cioè Mark Zuckerberg ha ammesso: dalla Russia sono state svolte massicce operazioni di acquisto di spazi pubblicitari sul social network durante il periodo dell’ultima campagna elettorale Usa.

Facebook ha dovuto ammettere come la società russa denominata Internet Research Agency, e riconducibile direttamente al Cremlino, sia stata la cabina di regia di migliaia di account falsi e di una vera e propria campagna di disinformazione (avvelenamento dei contenuti sarebbe forse la definizione migliore) a riguardo delle ultime presidenziali americane.

Anche se al grande pubblico sta giungendo solo una parte della testimonianza dei vertici di Facebook a Mueller, la sostanza è chiara: dalla Russia qualcuno ha coordinato un’offensiva di propaganda pro Trump iniziata già nel tardo 2015 per la quale tutta la comunità dell’intelligence statunitense all’unisono (Cia, Fbi, Nsa) conclude come la Russia abbia certamente interferito nel voto.

A questa fabbrica di Troll (espressione che indica i disturbatori del web) con sede a San Pietroburgo sono riconducibili al momento almeno 500 falsi account Facebook e acquisti pubblicitari per oltre 100 mila dollari; visti i numeri colossali della piattaforma, sembra solo la punta dell’iceberg.

Infatti ora anche Twitter procederà (e come Facebook non spontaneamente, ma forzato dall’ingiunzione coatta di Mueller) a fornire i dati di eventuali falsi account pronti a viralizzare falsi contenuti politici.

I giganti del mondo social non mai hanno dato, nella loro storia, un’immagine di grande trasparenza; forse anche per questo, oltre che per il clamoroso impatto da essi giocato sull’opinione pubblica, dalla Russia qualcuno ha deciso di sfruttarne tutte le potenzialità.

Molti dei contenuti, si sta scoprendo ora, erano targetizzati (parola orrenda per significare geograficamente mirati) verso aree di elettori particolarmente sensibili all’antipolitica: ecco allora l’enfasi per il tema immigrazione, per il tema corruzione della classe dirigente e per il tema sicurezza.

Se l’esecutore è stato individuato, e cioè la Internet Research Agency, e se il mandante a questo punto viene da sé, e cioè il Cremlino, rimane la domanda perché a Mosca avrebbero dovuto preferire Trump a Hillary Clinton?

Qui l’interrogativo si fa complesso, dal momento che non basta evocare antiche ruggini tra Clinton e Putin sull’Ucraina per giustificare uno scenario così inedito e grave come l’interferenza nel voto della principale democrazia del mondo da parte del suo “nemico” storico. E d’altronde se Putin e i suoi guardassero al dettaglio e non alla visione complessiva, dimostrerebbero scarsa intelligenza strategica. Cosa poco probabile.

Più ragionevole pensare come la Russia, consapevole della cesura storica che un avvicendamento Obama/Trump avrebbe comportato per gli Usa, con conseguente sbandamento del “sistema” nel suo complesso, abbia deciso di puntare sul cavallo potenzialmente più dirompente per il sistema dall’interno.

L’equazione in effetti si sta verificando: Trump licenzia membri dello staff uno dietro l’altro, le diverse crisi che vedono gli USA in prima fila invece di sciogliersi si aggrovigliano (Corea del Nord, Siria, Afghanistan, Venezuela); The Donald è un presidente in guerra aperta con i potentissimi media tradizionali (New York Times e Cnn) e con la metà del Paese che non l’ha votato. L’immagine dell’America, insomma, invece di essere great again non è mai stata più opaca di ora.

Se l’America vince coi social media in borsa ogni giorno nell’indice Nasdaq, sembra che la Russia utilizzando gli stessi social media per fare propaganda abbia, alla fine, vinto nelle urne. Una vittoria che vale davvero un tesoro in termini politici.

I più letti

avatar-icon

Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

Read More