Dalla Siria all'Ucraina: ma l'Onu serve ancora a qualcosa?
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Dalla Siria all'Ucraina: ma l'Onu serve ancora a qualcosa?

Le Nazioni Unite, nate dopo la guerra, non sono più in grado di portare la pace: non è il caso di mandarle in pensione?

Per Lookout news

L’est dell’Ucraina è in fiamme. I villaggi settentrionali della Nigeria sono in fiamme. La Libia è in fiamme. Il nord dell’Iraq e della Siria sono in fiamme, e anche l’ostaggio giordano in mano al Califfato è finito tra le fiamme. L’elenco non finisce certo qui, ma è palese che all’inizio del Ventunesimo secolo in molte regioni del mondo un incendio divampa sempre più.

 Posto che i problemi di queste regioni siano di competenza del “mondo libero”, che cosa fa l’Occidente di fronte al bagno di sangue in corso? Praticamente, niente. E che cosa dicono le Nazioni Unite, baluardo del mantenimento della pace? S’indignano, ma neanche troppo. Da questo atteggiamento pilatesco non possiamo che dedurre che, nell’odierna geopolitica della comunità internazionale, regni sovrana un’ipocrisia che è quasi più spaventosa di quelle azioni criminali.

 Come noto, le Nazioni Unite potrebbero intervenire militarmente per porvi rimedio, attraverso il Consiglio di Sicurezza, l’organo supremo dell’ONU guidato dai Paesi vincitori della Seconda Guerra Mondiale: USA, URSS (oggi Federazione Russa), Cina, Regno Unito e Francia.

 Lo afferma il Capitolo VII dello Statuto: l’ONU “può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali o terrestri di membri delle Nazioni Unite”.

 

Gli interventi dell’ONU
Nel 1950, la Corea del Nord invase la parte meridionale del Paese. Il consiglio delle Nazioni Unite, approfittando dell’assenza del delegato dell’Unione Sovietica in polemica con l’assegnazione alla Cina nazionalista del seggio ONU, votò per un intervento in Corea, appena ventiquattr’ore dopo l’invasione di Kim Il Sung. Passati tre anni, fu raggiunto quell’armistizio che dura ancora oggi e che ha consentito alla Corea del Sud, Paese dell’attuale Segretario delle Nazioni Unite Ban Ki Moon, di crescere e prosperare economicamente e politicamente.

 Nel 1960 in Congo (oggi Repubblica Democratica del Congo), di fronte alla rivolta dei secessionisti katanghesi che in poche settimane si resero responsabili di massacri di connazionali e di cittadini stranieri, l’ONU intervenne pesantemente e con la forza delle armi ristabilì la pace in Congo. Per il suo impegno nel voler riportare la pace nel Congo, venne ucciso anche il Segretario generale dell’ONU di allora, Dag Hammarskjöld. L’aereo sul quale viaggiava il diplomatico svedese fu abbattuto sui cieli africani.

 Durante tutti i lunghi conflitti arabo-israeliani, nonostante i veti incrociati con i quali i membri permanenti del Consiglio potevano bloccarne le esecuzioni, l’ONU è sempre intervenuto per imporre i cessate-il-fuoco e per costringere i contendenti a sedersi al tavolo delle trattative.

 Per almeno trent’anni, con alti e bassi e alterne fortune, le Nazioni Unite hanno fatto sentire la loro voce sullo scacchiere internazionale tentando, qualche volta con successo, di restaurare la pace con l’uso delle armi in aree di crisi.

 

Il paradossale immobilismo odierno
Tutto questo oggi non c’è più ed è paradossale. Con la fine della Guerra Fredda, la contrapposizione USA-URSS avrebbe dovuto cessare di paralizzare il Consiglio di Sicurezza, e il nuovo ordine mondiale avrebbe potuto essere garantito meglio da un organismo che, negli anni, è invece divenuto un gigante amministrativo. A paralizzarne l’azione, infatti, non sono più i veti incrociati delle grandi potenze, ma una burocrazia multinazionale inefficiente e strapagata, che non riesce a produrre neanche pallide risoluzioni per riportare la pace nelle aree di crisi.

 I tagliagola dello Stato Islamico hanno occupato porzioni consistenti di due Paesi aderenti alle Nazioni Unite, la Siria e l’Iraq, e dichiarato guerra al resto del mondo. Al momento, quella nei confronti del resto del mondo è una guerra mediatica, fatta di videomessaggi che mostrano prigionieri uccisi, cristiani crocifissi, omosessuali gettati dai palazzi. Insomma, la barbarie fatta persona.

 Una guerra per immagini che intende spaventare l’Occidente e che forse ci sta riuscendo. Alcuni Paesi hanno avviato una timida azione di contenimento delle armate del Califfo con l’uso dei bombardamenti aerei che, come la storia dimostra, non sono però in grado di risolvere in via definitiva le situazioni sul campo.

 Gli Stati Uniti con alcuni alleati, hanno inviato aerei da bombardamento in Iraq e rallentano l’avanzata di questi “barbari moderni”. Tutto ciò non basta. Inoltre, dopo aver criticato per anni gli Stati Uniti per il loro interventismo unilaterale, oggi non possiamo accontentarci di delegare a Barack Obama la risposta dell’Occidente e del mondo civile all’offensiva del Califfo.

 

Il ruolo delle Nazioni Unite oggi
La sede per discutere di un intervento in Siria e Iraq, come in Nigeria, ci sarebbe. È il bel Palazzo di Vetro di New York, che oggi appare sepolto sotto una montagna di carte ed è incapace di produrre non tanto una risoluzione ma almeno un vagito di protesta nei confronti dei massacri in Africa e Medio Oriente. Per molto meno, nel 1962 i paracadutisti belgi vennero lanciati su Léopoldville (oggi Kinshasa) e in pochi giorni sterminarono i guerriglieri katanghesi sotto le insegne dell’ONU. Tutto questo non c’è più.

 Nel 1994 le Nazioni Unite hanno assistito impotenti ai massacri del Rwanda e negli stessi anni il Palazzo di Vetro ha balbettato flebilmente e inefficacemente proteste per i massacri nell’ex Jugoslavia. Così è dovuta intervenire la NATO, al di fuori del mandato ONU, per ristabilire accettabili condizioni di pace.

 L’ONU insomma tace sulla Siria, tace sull’Iraq, tace sui massacri in Nigeria e in Ucraina, come in altre parti del mondo. Non è forse l’ora di mandare in pensione questo pachiderma e pensare a come meglio imporre la pace?

 

 

 

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Luciano Tirinnanzi