Così i neofascisti si son presi una cotta per Putin
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Così i neofascisti si son presi una cotta per Putin

Il Forum nazionale russo a San Pietroburgo e la diaspora di tutte le destre estreme a favore del Cremlino: la politica come arte dell'impossibile

Paolo Gariboldi, deputato del Carroccio di nuova osservanza salviniana, ebbe l'intuizione alla fine dello scorso anno: creare in parlamento l'intergruppo  «Amici di Vladimir Putin». Obiettivo: richiamare l'attenzione sugli effetti nefasti che le sanzioni contro Mosca emanate qualche giorno dopo la ribalda annessione della Crimea avrebbero provocato non solo a Mosca, ma anche alle economie di tutti i Paesi europei.

Quell'intuizione - suggellata da una affettuosa lettera a tutti i deputati e senatori considerati più disponibili nei confronti dello zar di tutte le Russie - non è rimasta lettera morta. E oggi, qualche settimana dopo la firma della fragile tregua di Mink, sono molti i parlamentari, i capitani d'industria, i militanti, i semplici cittadini, gli intelletturali che, da destra a sinistra, dall'establishment all'anti-establishment, pur senza adesioni formali al gruppo gariboldino, guardano con comprensione o aperta simpatia, per motivi diversi, all'uomo del Cremlino e alla sua politica estera, considerata come l'unico argine possibile allo strapotere americano.

Da Barbara Spinelli, intellettuale ed eurodeputata eletta nella sinistrissima «L'Altra Europa con Tsipras» che non perde occasione per bastonare le «milizie fasciste» armate dal governo di Kiev, fino a Matteo Salvini, muscolare erede di Umberto Bossi che affida alla sua seguitissima pagina facebook le sue frequenti serenate nazionaliste nei confronti dell'uomo del Cremlino. Passando naturalmente per i leader e i militanti di quel magma nero che guarda a Putin come il campione di quell'Eurasia conservatrice e cristiana che si sta finalmente prendendo la rivincita sull'empia America e soprattutto sull'«Europa dei burocrati, dei massoni, dei banchieri sionisti e della lobby gay» che avrebbe svenduto le sue radici e spalancato le porte all'invasione dei mori.

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Per spiegare come mai tutte le destre estreme europee abbiano deciso di aderire all'invito del Forum nazionale russo a San Pietroburgo per omaggiare la ferrea leadership di Vladimir Putin, Guido Caldiron, autore del corposo saggio Estrema destra. Viaggio nella nuova internazionale nera, ricorda quali siano gli ingredienti dell’agenda politica del Cremlino che fanno letteralmente girare la testa a certi ambienti del neofascismo internazionale: omofobia, guerra agli immigrati, difesa a oltranza della cristianità ortodossa e dei valori tradizionali, mito dell'uomo forte, politica estera anti-occidentale e anti-americana, rigetto del neoliberismo selvaggio e, last but not least, «evocazione del mito euroasiatico di un'unica nazione dalla Bretagna alla Siberia».

IL FRONTE NEOFASCISTA PUTINIANO: DA FIORE A TILGHER
Ce n'è abbastanza per trasformare la Russia nel nuovo sole dell'avvenire per i vecchi e nuovi nostalgici in camicia nera che sembravano essere rimasti sepolti sotto le macerie della guerra e del Muro di Berlino. I putiniani di destra della prima ora, quando ancora l'ex candidato dei Comunisti PadaniMatteo Salvini non aveva riposto le ramazze agitate per far dimenticare i gioielli tanzani,  sono i neofascisti di Forza Nuova di Roberto Fiore, un ex militante di Terza Posizione già condannato in via definitiva per banda armata e associazione sovversiva nel 1985.

Il suo credo è quello classico di tutte le destre radicali: Dio, patria e famiglia. Laddove la patria è l'Italia (ma anche la Russia di Putin, ça va sans dire), Dio è il Dio cristiano che combatte con la spada contro gli infedeli e la famiglia è quella tradizionale, benedetta non da un eretico ufficiante comunale  ma  dal vicario (meglio se lefevriano) di Cristo in terra. Insomma: il classico movimento clerical-fascista che fa appello, proprio come Putin per ragioni interne, alla tradizione minacciata da musulmani, «mondialisti» e «imperialisti americani», «eurocrati» e banchieri.

Putiniano come e più di Roberto Fiore, anche lui sbarcato a San Pietroburgo, è Alessandro Tilgher, ex sodale di Stefano Delle Chiaie con cui condivise lunghi anni di militanza in Avanguardia Nazionale e attuale leader del Fronte Nazionale, un piccolo gruppo di estrema destra nato sulle ceneri del Movimento sociale di Pino Rauti. Un paio d'anni fa, quando il meticcio Barack Obama fece visita a Roma, Tilgher fece tappezzare i muri della capitale con questo manifesto che ineggiava a zar Vladimir accompagnando il tutto con queste parole: 

«Putin ha assunto posizioni coraggiose, contro la potentissima lobby gay, che, con un’azione capillare, punta quasi a colpevolizzare chi omosessuale non è, e contro le centrali finanziarie mondiali, che vogliono la guerra in Siria. Noi stiamo con Putin, senza se e senza ma: un attacco in Siria aprirebbe le porte a un conflitto mondiale e la posizione russa rappresenta un argine contro l’irresponsabilità di Obama e di tutti i guerrafondai».


Le ragioni della cotta dei neofascisti verso Vladimir Putin non dipendono soltanto, come qualcuno ha suggerito, dal fatto che Mosca - nel suo tentativo di uscire dall'isolamento - avrebbe versato 9 miloni di dollari nelle casse del Fronte Nazionale di Marine Le Pen, considerata oggi la madrina di tutte le destre euroscettiche che si sono recate a San Pietroburgo per omaggiare lo zar. Queste ragioni sono legate a un'antica diffidenza delle destre di estrazione fascista nei confronti di tutte le istituzioni internazionali (come l'Europa) e delle lobby finanziarie, ovviamente sioniste, che le avrebbero ispirate. È la riedizione, ottant'anni dopo, e riaggiornata, del famoso complotto demo-pluto-giudaico-massonico contro le Nazioni dell'Asse che avrebbero ordito, secondo Hitler e Mussolini, i banchieri ebrei emigrati in America. Putin, per costoro, è il campione dell'Europa delle patrie che lotta contro l'Europa dei burocrati e dei banchieri.


Qualcuno si è stupito che tra i simpattizanti dell'ultim'ora del nazionalista Vladimir Putin vi sia anche Matteo Salvini, leader di un partito federalista che solo qualche anno fa, per bocca del suo fondatore, invitava i suoi militanti a pisciare sulla bandiera. Ma lo stupore è di breve durata. La politica non è, come disse Otto Bismarck, l'arte del possibile, ma spesso anche quella dell'impossibile. Come impossibile, infatti, apparrebbe che gli eredi spirituale dell'Operazione Barbarossa che solo settant'anni fa fece quasi venti milioni di mortiin Russia possano sbarcare liberamente nella città del leader del Cremlino senza che nessuno, in quel Paese, sollevi la questione. Né versi pubblicamente una lacrima.

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Paolo Papi