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Il club nucleare oggi: le criticità di un modello superato

Solo i 5 Paesi firmatari del Tnp ne fanno parte. Ma sono decine gli stati che hanno armi nucleari. Perché democrazia e atomica non sempre si incontrano

Come dare torto al Ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, quando ricorda che chiudere il dialogo sul nucleare iraniano darebbe un pessimo segnale per la Corea del Nord. Sarebbe, in soldoni, la conferma che il dialogo non premia.

Tuttavia, parlando di nucleare, dialogo e prudenza dovrebbero essere la bussola, come lo sono stati – pure se a momenti alterni – dal 1945 ad oggi, e cioè dalle bombe americane sganciate sul Giappone imperiale che misero la parola fine alla Seconda Guerra mondiale nel Pacifico e aprirono le porte all’iscrizione in un club esclusivo: il club nucleare.

Molto tempo è passato dalla resa del Giappone, altri paesi hanno raggiunto capacità nucleari, e oggi torna sempre più forte alla memoria l’interrogativo posto da un conservatore illuminato come l’Ambasciatore Sergio Romano: a chi spetta il diritto di decidere chi può o non può iscriversi al club nucleare?

La materia non è mai stata facile da gestire, basti pensare che dal 1945 si dovette attendere il 1970 per un accordo a livello ONU che mettesse ordine in questo ristretto parterre. La regola per accedervi era semplice: chi avesse posseduto (leggi: assemblato e testato) armi nucleari alla data del 1° gennaio 1967 era automaticamente membro del club.

Chi ne fa parte

Il TNP (Trattato di non proliferazione nucleare) riunisce 5 nazioni: Stati Uniti d’America, Russia (già Unione Sovietica), Gran Bretagna, Francia e Cina. In senso stretto, questo è il club nucleare vero e proprio, e il TNP è basato su 11 articoli che sanciscono due principi assoluti: gli stati “non nucleari” non possono avere armi nucleari di qualsiasi forma e grado; gli stati già “nucleari” non possono donare la loro tecnologia ai non nucleari per permettergli di divenire a loro volta tali.

Già dagli esordi il TNP non ebbe vita facile, perché se USA, Unione Sovietica e GB aderirono dal primo momento, Francia e Cina si decisero al grande passo solo negli anni ’90, e la famigerata Corea del Nord aderì nel lontano 1985, ma poi nel 2001 si ritirò perché non voleva permettere agli altri membri del club di fare ispezioni sul suo programma nucleare.

Il club non ufficiale

Ma esiste anche un secondo club, diciamo quello non ufficiale. Ne fanno parte l’India, il Pakistan, Israele (che ufficialmente non ha mai ammesso, o negato, la cosa) e come leggiamo ormai quotidianamente la Corea del Nord. In cosa si differenzia queste club minore dal maggiore? Nel fatto che i suoi 4 membri non sono riconosciuti dagli organismi internazionali come legittimi possessori di tecnologia nucleare, sia civile che militare, dal momento che il passo tra i due stadi è breve.

I cub archiviati

Esistono poi nazioni, come il Sudafrica, o le ex Repubbliche sovietiche di Kazakhistan, Bielorussia e Ucraina, che avevano sul loro territorio armi nucleari ma hanno deciso di smantellarle, vedi il primo caso, o di restituirle alla Russia nel secondo.

A cosa fare attenzione oggi

Il capo dell’AEIA (l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) ha messo il mondo in guardia, fuori dal club ufficiale dei 5, e fuori dal club ufficioso dei 4, esistono almeno 30-40 paesi al mondo che sarebbero in grado di costruire un ordigno atomico.

Questo vuol dire che il TNP mostra ormai tutti i suoi limiti storici, essendo la fotografia del mondo post Seconda Guerra mondiale. Nel club siedono infatti le 5 nazioni con un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. La simmetria è perfetta, ma non si addice più ad un mondo imperfetto, dove i rapporti di forza geopolitici sovrastano i principi morali.

Democrazia e atomica

Quello che vale nella visione Occidentale, e cioè il principio che solo le democrazie compiute possano dotarsi di tecnologia nucleare, è smentito dai fatti nella composizione stessa due club attivi: la Cina non lo è mai stata, il Pakistan lo è a fasi alterne, la Russia è considerata una democrazia imperfetta.
Per non parlare, fuori dal club, dell’Iran teocratico degli Ayatollah.

Allora la domanda dell’Ambasciatore Romano torna più attuale che mai: a chi spetta, e su quali basi, decidere chi può entrare a far parte del club nucleare? Ricordando che anche l’Europa, nel 1956, dopo la crisi del Canale di Suez aveva deciso di dotarsi dell’atomica.

Poi non se ne fece nulla, ma anche questo è un capitolo esemplare della complicata, e molto pericolosa, contraddizione nucleare. Pensiamo al rapporto di eredità: la bomba pensata da Konrad Adenauer nella diponibilità, anche solo dialettica, di Marine Le Pen al Parlamento Europeo?

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Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

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