Chi è veramente Donald J. Trump, candidato repubblicano alla Presidenza Usa
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Chi è veramente Donald J. Trump, candidato repubblicano alla Presidenza Usa

Archetipo del businessman di successo, è al primo posto nei sondaggi. Storia e curiosità su “The Donald”, il ricco che vuole diventare re

Per Lookout news

Come recita la sua biografia ufficiale “Donald J. Trump è la definizione stessa di una storia americana di successo, impostata continuamente sugli standard di eccellenza, e con interessi in espansione nel settore immobiliare, dello sport e dell’intrattenimento”. E della politica, dovremmo aggiungere oggi. “Lui è l’archetipo del businessman, un creatore di affari senza pari” aggiunge poi il profilo della Trump organization, la società ereditata dal padre e di cui oggi il magnate newyorchese è a capo, insieme alla famiglia.

Fa riflettere proprio quest’ultimo passaggio. Donald J. Trump è l’archetipo del businessman. Forse proprio per questo sta riuscendo a “vendere sogni” agli americani. Sogni che, tuttavia, si potrebbero anche concretizzarsi il giorno in cui il re dell’immobiliare dovesse prestare giuramento sulla bibbia (cosa che peraltro un presidente non è obbligato a fare). Se il democratico Obama scelse una bibbia appartenente ad Abramo Lincoln per il fatidico giorno d’insediamento, chissà cosa sceglierebbe l’estroso Trump. Magari un libretto d’assegni.

I sondaggi tra i repubblicani
Ma è assai presto per dire bene o male di tutto ciò. Anche se lui già immagina per sé un futuro da comandante in capo. E i sondaggi, al momento, sembrano davvero dargli ragione. Attualmente, tra i repubblicani il candidato Trump domina la classifica col 30% delle preferenze. Mentre il “figlio d’arte” Jeb Bush, la cui famiglia è sempre stata un risorsa importante per il Grand Old Party, è staccato di ben 22 punti dalla vetta, attestandosi a un misero 8%. Cosa che in casa Bush, dove si contano ben due presidenti prestati alla causa, non dev’essere un fatto vissuto particolarmente bene: a leggere queste cifre, infatti, il politico texano non ha molte speranze di sfidare i democratici alle elezioni del novembre 2016. Non va bene neanche al candidato di quel Tea Party che tanto ha dato filo da torcere all’intero Congresso negli ultimi anni: Ted Cruz, infatti, è al palo insieme a Bush all’8%. Decisamente meglio va all’ex chirurgo Ben Carson, che è a quota 18%. Mentre delude il senatore di origini cubane, Marc Rubio, che non sembra ancora aver convinto l’elettorato decisivo dei latinos, e al momento è fermo a uno sconfortante 5%.

Una carriera tutt’altro che politica
Se in Italia siamo abituati agli istrioni e ai parvenu della politica, non è esattamente così negli Stati Uniti. Eccezion fatta per la California, ovviamente, che ha prodotto il governatore Arnold Schwarzenegger e soprattutto il governatore e poi presidente Ronald Reagan; tuttavia, il Golden State è storia a sé e gli elettori californiani sono tutta un’altra razza.

Oggi nell’America dei grandi agglomerati urbani e delle tensioni razziali, tutti si domandano allibiti: che ci fa un imprenditore che ama il jet set nella sfida per la Casa Bianca? E soprattutto, che ci fa tra i repubblicani? Uno che in passato non solo ha fatto numerosi cameo per la televisione e il cinema (Sex and the city e il sequel di Mamma ho perso l’aereo su tutti), ma ha sostenuto a lungo i democratici e ha persino finanziato quell’Hillary Clinton che presto potrebbe essere la sua prossima avversaria alla corsa finale per la Casa Bianca.

La risposta è forse nel deserto d’idee che ha contraddistinto le linee politiche dei conservatori degli ultimi otto anni, tanto da essere insidiati in casa propria da un partito ribelle, il Tea Party, che prometteva miracoli e che pare essersi già sgonfiato. O forse, come recita una canzone di Bruce Springsteen, “poor man wanna be rich, rich man wanna be king, and a king ain’t satisfied, till he rules everything”. Il ricco vuol essere re e non sarà soddisfatto finché non avrà tutto. E dire che il nostro ha già molto.

Chi è davvero “The Donald”?
Mr.Trump ha iniziato la sua carriera in un ufficio che condivideva con il padre Fred a Sheepshead Bay, a Brooklyn, New York. Ha lavorato al suo fianco per cinque anni,  e di lui diceva “è stato il mio mentore, e da lui ho imparato una quantità enorme di cose su ogni aspetto del settore edile”. Allo stesso modo, Fred C. Trump spesso affermava “alcuni dei miei migliori accordi sono state conclusi da mio figlio, Donald. Tutto ciò che tocca sembra trasformarsi in oro”. E, in effetti, Donald Trump ha costruito grandi fortune, soprattutto una volta entrato nel mondo immobiliare di Manhattan, dove la firma Trump è sinonimo dei più prestigiosi indirizzi. La Trump Tower sulla celebre Fifth Avenue; gli edifici residenziali di lusso di Trump Parc e Trump Palace; Trump Plaza sulla 610 Park Avenue; The Trump World Tower, l’edificio più alto sulla East Side; e ancora il Trump Park Avenue e il terreno sotto l’Empire State Building. E ciò vale solo per la città di New York, ma il suo marchio è ovunque in America e nel mondo (a Las Vegas il suo grattacielo a vetri è colorato d’oro).

Così, “The Donald”, come lo soprannominò a suo tempo la moglie Ivana, a meno di clamorosi scivoloni o di scheletri nell’armadio appare sempre più come l’uomo forte del GOP. Anche se la sua politica invero punta a stupire e a spaccare l’elettorato, con quel fare da bullo e con quelle strane idee sulle tasse che non sono certo nella tradizione dei repubblicani – al contrario della sua opinione radicale sugli immigrati – e che potrebbero anche fargli perdere punti lungo la strada in salita che conduce a Washington D.C.

Ma lui è talmente sicuro di vincere che già lungo Pennsylvania Ave NW, ovvero la strada che dalla Casa Bianca porta al Congresso degli Stati Uniti, ha visto bene di acquistare e ristrutturare il magnifico vecchio Ufficio delle Poste per farne il più grandioso dei suoi hotel di lusso. E già oggi, camminando per strada, lungo quella celebre direttrice si può leggere una scritta equivoca e al tempo stesso chiarissima: “TRUMP, COMING 2016”.

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Scott Olson/Getty Images
Donald Trump durante la campagna elettorale in Iowa, 25 agosto 2015

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Luciano Tirinnanzi