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LOUISA GOULIAMAKI/AFP/Getty Images
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Che scandalo, Varoufakis si fa pagare per lavorare

Dietro le polemiche per gli emolumenti dell'ex ministro greco c'è l'idea, priva di fondamento, che i comunisti dovrebbero vivere a pane e acqua

La tesi che l'ex ministro greco Yanis Vaorufakis, sostenuta da alcuni importanti quotidiani britanici, riceva in media 55mila euro a conferenza, pagati attraverso un'agenzia in Oman, continua a tenere banco sui siti internet e sui mezzi di comunicazione di massa di mezzo mondo.

Questa volta, a ravvivare la polemica è stato lo stesso ex braccio destro di Alexis Tsipras che con un dettagliato post sul suo blog personale ha ripercorso tutte le voci di entrata del suo bilancio mensile da quando è stato costretto alle dimissioni nel luglio 2015. L'ex ministro ha negato, in nome della trasparenza, che i suoi emolumenti siano così elevati, affermando che sono dieci volte di più le occasioni internazionali in cui ha parlato a titolo totalmente gratuito o ricevendo in cambio solo qualche spicciolo a titolo di rimborso spese.

LA LISTA B
Fanno eccezione, spulciando la lista delle conferenze cui l'ex ministro globe trotter è stato invitato a parlare, due soli eventi inseriti dallo stesso Varoufakis in un'apposita Lista B, definita a titolo commerciale "per consentirmi di mantenere la necessaria indipendenza", rispettivamente del 27 settembre e del 21 ottobre 2015: 28 mila e 800 euro per una conferenza, con viaggio in business prepagato,
a Singapore organizzata da Abraaj Group, un fondo internazionale di investimenti nei Paesi del terzo mondo, e 24 mila euro per la sua comparsata a Che tempo che fa di Fabio Fazio.

DOMANDE AI QUOTIDIANI BRITANNICI
Ora, fermo restando che noi italiani avremmo tutto il diritto di offenderci perché siamo (quasi) i soli cui Varoufakis ha presentato il conto, verrebbe da chiedersi quale sia la logica dietro al j'accuse - al quale si è aggiunto un imponente coro di indignazione - dei quotidiani britannici. Forse che un comunista come Varoufakis dovrebbe vivere, in nome di una presunta solidarietà con i lavoratori greci, a pane, acqua e lambrusco? 

Forse che, in nome di una ipocrita coerenza, Varoufakis dovrebbe rinunciare a qualsiasi emolumento per sentirsi più vicino alle condizioni materiali di vita di centinaia di migliaia di lavoratori che, nel corso dell'ultima  crisi che ha sconquassato l'economia reale dei Paesi dell'area mediterranea, hanno perduto il lavoro?

Qualcuno ha mai chiesto, con le dovute proporzioni di grandezza e di statura intellettuale, ad Alberto Moravia o a Pier Paolo Pasolini di rinunciare ai soldi che ricevevano da Einaudi, Mondadori e Corriere della Sera solo perché comunisti? Da quando i comunisti debbono essere, necessariamente, francescani? Qualcuno si è mai spinto a sostenere che Engels non era comunista solo perché figlio di un importante proprietario tedesco?

Domande che rimarranno senza risposta, perché - immaginiamo - non vi è risposta sensata proveniente da questo coro fasullo di indignazione. Varoufakis avrebbe potuto, a ragion veduta, essere criticato se avesse conferenziato per un hedge fund che lui ritiene responsabile dello stato miserabile in cui versa l'economia pubblica greca. O se, per incassare soldi, per ipotesi, avesse prestato il suo volto per pubblicizzare un grande istituto bancario tedesco o il nuovo corso della Cdu di Angela Merkel.   Non già perché si fa pagare, a quanto leggiamo, oltrettutto con cifre modeste. Il lavoro va pagato. È questa una delle grandi conquiste della modernità. E Varoufakis, qualsiasi sia la vostra idea in merito, non deve fare eccezione.

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Paolo Papi