Strage di Tunisi: "È un attacco alla democrazia"
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Strage di Tunisi: "È un attacco alla democrazia"

Parla Omeya Seddik, politologo e attivista, presidente della fondazione al Muqaddimah

"Quello che è successo al Museo di Tunisi è terribile ed è importante sottolineare che le reazioni dei politici, di qualsiasi partito, sono improntate alla responsabilità". Così Omeya Seddik commenta a caldo a Panorama.itl'attentato di Tunisi, che ha causato 20 morti, tra cui anche due italiani. Seddik, politologo e presidente del think-tank Al Muqaddima, è convinto che l'attentato di Tunisi sia una ritorsione contro il processo democratico generato dalla Primavera araba, di cui la Tunisia è la culla.


Dopo il tragico attentato al Museo, qual è l'aria che si respira in Tunisia?

Sicuramente c'è una grande inquietudine e una grande preoccupazione, ma è importante vedere che tutto lo spettro politico e anche la società civile e la gente comune vogliono resistere fermamente alla minaccia terroristica, a una prospettiva di violenza che porterebbe inevitabilmente a un ritorno al caos. Sia i politici che la gente comune vogliono che le cose vadano avanti in modo normale, senza deviare dal solco democratico in cui la Tunisia si è messa sin dall'inizio della Primavera araba.

Secondo le stime, sembra che ci siano circa 3.000 tunisini nei campi di addestramento dello Stato islamico in Libia, e quando torneranno a casa ci saranno enormi problemi 

In realtà questa cifra non è verificabile, anche se parlare di 3.000 tunisini che si sono arruolati nell'Isis è plausibile. Non tutti sono tornati in Tunisia, però. Secondo i servizi tunisini sono tornati a casa tra i 700 e i 900 ragazzi. Molti di loro sono sotto stretta sorveglianza da parte dell'intelligence, altri sono stati messi in carcere. Certo, questo non significa che tutto sia sotto controllo ed è inevitabile che ci sia preoccupazione.

E la preoccupazione aumenta se si pensa all'area di Kasserine, al confine con l'Algeria, dove è scattato l'allarme terrorismo per le infiltrazioni jihadiste in Tunisia, provenienti da altri Paesi

La regione di Kasserine è sotto i riflettori, ma questo non significa che sia l'area più pericolosa, anzi. E' una zona montagnosa da dove passa tutto il contrabbando, anche quello di matrice jihadista. Ma, soprattutto, parliamo di contrabbando di pezzi di ricambio per le auto e di idrocarburi. Dobbiamo stare attenti quando diciamo che il terrorismo passa da Kasserine, anche perché sia sul lato algerino che su quello tunisino la presenza delle forze dell'ordine è imponente e i soldati algerini sono particolarmente ben addestrati.

Ma le infiltrazioni jihadiste ci sono però, questo è un dato di fatto

Sì, ma possono arrivare dalla Libia o da tutto il litorale, che è così vasto da essere difficilmente controllabile. Ma è più facile per un terrorista riuscire a passare da un'area che non è sotto i riflettori, piuttosto che da un'area iper controllata.

Tornando all'attentato al Museo di Tunisi, è possibile che sia una ritorsione contro il governo laico tunisino?

Quello tunisino è un governo di unità nazionale in cui ci sono anche dei ministri di Ennahda (il partito islamico ndr). Quindi, non credo sia una ritorsione contro il governo. Piuttosto credo che sia un atto contro il processo di democratizzazione che la Tunisia ha intrapreso sin dall'inizio della Primavera araba. Una democrazia imperfetta, ma comunque una strada netta, che funge da esempio per tutti gli altri Paesi della regione. E' questo, molto probabilmente, quello che gli jihadisti hanno voluto colpire.

Ansa
Uomini delle forze speciali tunisine fuori dal Museo Bardo, vicino al Parlamento tunisino

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Anna Mazzone