Violenza sulle donne, a Milano un brutto passo indietro
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Violenza sulle donne, a Milano un brutto passo indietro

Il servizio di Soccorso Rosa dell'ospedale San Carlo è un'isola di eccellenza. Ma adesso la burocrazia lo mette in pericolo

È possibile mettere assieme bambini maltrattati e donne violentate con altre donne che sono in coda per una visita ginecologica, un intervento o una consulenza sulla contraccezione?
È quello che sta per succedere all'Ospedale San Carlo di Milano, dove la direzione ha deciso di accorpare ilSoccorso Rosa, riservato alle vittime della violenza, con il Centro di ascolto e salute per le donne immigrate. Un scelta che solleva molte perplessità, considerata la delicatezza della situazione di bambini e donne violate. 

"Il servizio offerto da Soccorso Rosa cerca di garantire la massima riservatezza e tranquillità alle donne o ai bambini maltrattati e violentati" spiega a Panorama.it la dottoressa Nadia Muscialini, coordinatrice del Soccorso Rosa. "I nostri assistiti non fanno code per poter accedere agli ambulatori e, soprattutto, abbiamo sempre cercato di non farli incontrare con altri pazienti che, involontariamente, potrebbero aggravare il loro disagio, già molto profondo".

"Le utenti del Centro di Ascolto, invece, hanno esigenze completamente diverse. Spesso sono donne rom, con bambini che corrono, giocano, si buttano per terra, mangiano..." Insomma, un clima ben diverso da quello tranquillo e riservato a cui il Soccorso Rosa avrebbe diritto.

Nel 2014 al San Carlo sono stati registrati quasi 600 accessi di vittime di violenza fisica, psicologica e sessuale. Oltre la metà, 384, sono giunte in emergenza attraverso il Pronto soccorso; il 73 % ha dovuto subire un intervento chirurgico, il 21% un trattamento ortopedico. Della totalità degli accessi, il 98% sono stati di donne italiane vittime di maltrattamenti domestici o di stalking.

Dottoressa Muscialini, per voi l'accorpamento significa fare un passo indietro, nell'aiuto e supporto alle donne, di almeno dieci anni...

Sì, torniamo a un modello "antico" sia culturalmente sia legislativamente. Il modello adesso, purtroppo, rischia di tornare a essere quello che c'era prima dell'apertura del centro antiviolenza, quando ancora non era in vigore la Legge regionale, non era stata ratificata la convenzione di Istambul, non esisteva la legge 119 sul femminicidio, né era stato attivato il tavolo regionale antiviolenza. Da allora la cultura, l'approccio e i modelli di intervento per la prevenzione e il contrasto alla violenza di genere sono stati modificati, soprattutto nello specificare che per sconfiggerla ci vogliono competenze e strutture dedicate. Ma noi qui stiamo tornano inesorabilmente indietro...

Con il Soccorso Rosa le donne non hanno solo supporto psicologico ma un aiuto a 360 gradi, anche per eventuali cause penali contro i loro aggressori...

Le assistiamo subito, in emergenza, ma anche nel lungo periodo, soprattutto nella fase dalle denuncia e durante l'iter processuale. Con il supoto di alcuni legali seguiamo le donne che si rivolgono a noi per tutto il tempo necessario, fino al raggiungimento della piena autonomia. Il nostro gruppo fa un lavoro congiunto con le forze dell'ordine e le strutture di accoglienza protetta. 

Il vostro sostegno è rivolto anche ai figli delle vittime. In che modo?

Seguiamo i figli perché sono vittime a loro volta di violenza. Quella alla quale assistono, oppure sono strumentalizzati dai maltrattanti, per colpire ancora la donne. E se è vero che, come dicono le statistiche, una donna su tre è vittima di qualche forma di violenza, è facile pensare a quanti siano i minori coinvolti. Allora, siccome non riuscivamo raggiungere tutti i bambini che avremmo voluto, dal 2011 portiamo nelle scuole di tutta Itala Di Pari Passo, un percorso di educazione contro la violenza di genere. Sono percorsi clinici e terapeutici, così come riconosciuto dall'Ordine degli psicologi della Lombardia. L'anno scorso la campagna di comunicazione Di Pari Passo ha ricevuto una medaglia di riconoscimento del Presidente della Repubblica. E non solo: gestiamo da tempo anche uno sportello sul territorio, in convenzione con il Comune di Milano. Grazie a generosi donatori forniamo alle vittime in difficoltà economica pacchi alimentari, per sconfiggere anche la malnutrizione e la fame nascosta, conseguenza spesso della violenza economica.

Ma quanto costa alla struttura sanitaria il vostro servizio?
In realtà molto poco, perché le operatrici del centro (2 strutturate, 2 specializzande e una volontaria), coordinano la loro attività con quella degli altri sanitari. La vera forza è che, con poche risorse, riusciamo a coinvolgere tutti i nostri diversi interlocutori. Avere più risorse significherebbe raggiungere più donne e bambini. Molte prestazioni vengono erogate grazie a convenzioni con altri enti con cui lavoriamo quotidianamente, condividendo procedure e risorse, grazie a un coordinamento reciproco. Abbiamo avut anche sponsorizzazioni per i progetti educativi.

Il Soccorso Rosa è stato studiato in ogni dettaglio, compresa l'ubicazione degli uffici e degli ambulatori. Un accorpamento di questo tipo che cosa comporterebbe?

Dal punto di vista logistico, il servizio è in una posizione ideale: vicino al pronto soccorso, al posto di polizia e di polizia locale e al centro dove ci sono le mediatrici culturali, nel caso ci siano pazienti che non parlano Italiano. È vicino agli ambulatori di ortopedia, ginecologia. Le donne sono state volutamente escluse da un percorso all'interno del Dipartimento di salute mentale, affinché questo non venisse poistrumentalizzato dagli uomini violenti. I locali sono dotati di allarmi e misure di protezione da attivare in caso di pericolo (come già successo in passato). Ma abbiamo anche procedure specifiche per la prevenzione dei rischi e per la tutela della sicurezza delle vittime, del personale e degli altri utenti. Nel 2009, proprio queste procedure hanno ricevuto un premio di riconoscimento della agenzia regionali per le buone pratiche agenas.



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Nadia Francalacci