La violenza sulle donne ai tempi di Facebook
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La violenza sulle donne ai tempi di Facebook

I social network diventano luoghi di denuncia delle donne maltrattate

Dai tempi di Robespierre e delle giurie rivoluzionarie non si vedeva una giustizia così veloce come quella che è apparsa negli ultimi tempi sul social network. Procure efficienti, processi per direttissima: da quando Anna Laura Millacci, compagna del cantante Massimo Di Cataldo, ha postato sulla sua bacheca le foto con il volto tumefatto, il popolo del web (23 milioni di italiani appiccicati su Facebook a fronte di 27,4 milioni di connessi, secondo gli ultimi dati Audiweb) si è trasformato in uno stuolo di formidabili magistrati. Giudizi immediati e inappellabili («Pessimo cantante e come  uomo sei una merda», uno tra i molti), uno screditamento globale e senza fine. Perché, se anche Di Cataldo sfamasse l’Africa e dovesse magari essere assolto, di lui il web ricorderebbe solo le botte alla compagna e il procurato aborto.

È la prima volta che il social network diventa luogo di avviso di reato. «Da anni è il protagonista di tradimenti, divorzi, separazioni, ma è la prima volta che viene usato non per annunciare, ma per denunciare. E basta un post perché il pm abbia “notitia criminis” e inizi a muoversi, anche senza una denuncia formale» spiega l’avvocato Annamaria Bernardini de Pace. È la fine del diritto all’oblio e la parola privacy sembra non avere più senso, come avverte Giusella Finocchiaro, il primo avvocato in Italia a occuparsi di diritto e nuovi media. «Aumentano vertiginosamente i casi di diffamazione su internet. Oggi bisogna ragionare su un nuovo diritto dell’identità personale, all’immagine sociale». Perché mentre Anna Laura Millacci si difendeva scrivendo che non voleva questa «agogna mediatica» (letterale), ormai la piazza virtuale aveva già emesso la sua sentenza. Velocissima, come nessun tribunale ordinario sarebbe mai riuscito a fare.

Appena ha letto la notizia della violenza, l’avvocato Giulia Bongiorno ha risposto (va da sé) con un tweet: «Domani apriranno un fascicolo». E aveva ragione: in meno di tre giorni l’uomo e la donna sono stati sentiti e così la babysitter testimone di quel che succedeva in casa. Quanto tempo passa se si sporge regolare denuncia in commissariato? In certe procure, per le lesioni lievi, anche due o tre anni prima che la denuncia venga solo presa in considerazione. «Il nostro sistema è a macchia di leopardo, se si cade nella chiazza giusta allora i tempi possono essere più brevi, ma si parla spesso di anni di indagini che a volte nemmeno danno luogo a procedimenti penali. Il sistema è lento, inadeguato, salvo eccezioni, però continuo a credere che non ci siano scorciatoie. Il web è un mezzo improprio da usare e alla fine non è detto che la persona offesa venga tutelata nel modo giusto» sottolinea Bongiorno.

Ma la velocità d’azione dei carabinieri e della procura nel caso Di Cataldo potrebbe diventare fonte di emulazione. «La denuncia sul web è giustificabile solo come estrema ratio. La capisco, ma non la suggerisco. Anche perché l’impatto per lei è stato duro: se un 70 per cento dei messaggi era di elogio e ringraziamento, per il 30 erano, invece, ingiurie e minacce. E c’è il rischio che la vicenda strumentalizzata le si ritorca contro» teme Lorenzo Puglisi, avvocato di Millacci e fondatore di Sos Stalking, portale per la tutela dei casi di violenza. Negli ultimi giorni ha ricevuto molte email di donne che chiedevano se potevano raccontare le violenze subite sul web: «Mi scrivono: ho fatto 10 denunce e non è successo niente, allora mi devo mettere anche io su Facebook?». 

I panni sporchi vengono sempre più spesso lavati sulla pubblica piazza virtuale, eppure nella sua libertà estrema internet non è affatto democratico. Se alla donna del cantante famoso si dà risonanza mediatica, al blog Latte versato di Silvia Caramazza, trovata morta in un congelatore a Bologna, non è stato dato peso. Eppure lei aveva raccontato ai primi di giugno di «violenze e violenze»: di cellulari spaccati, di controllo ossessivo come una galera. E di rapporti sessuali obbligati.
Ma scriverlo pubblicamente non è bastato. Il web è casualità, non certezza. Anche Cristina Biagi aveva denunciato l’ex marito Marco Loiola più volte e lui si era sfogato sulla sua bacheca: «Perdono molto, ma non tutto. Dimentico subito, ma non sempre!». Tutti a Marina di Massa sapevano che la tormentava, però non hanno fatto nulla.È finita che lui ha sparato in faccia all’ex moglie, reso orfani i figli, ferito gravemente quello che pensava essere il nuovo compagno e poi si è sparato. Prima però ha avuto il tempo di postare una frase di Bob Marley, in un delirio narcisistico. Il processo virtuale è stato immediato. Dopo pochi minuti dalla notizia c’era già chi la commentava così: «Io non mi permetto di giudicare, ma è una tragedia enorme di tutti». E intanto giudica... Aggiunge «I like», posta insulti («Schifoso infame, barbone, vergognati»).

«Siamo già arrivati ai tribunali su Facebook. Il primo è stato Beppe Grillo con le sue epurazioni sottoposte al voto virtuale» osserva Andrea Granielli, manager esperto di tecnologia e innovazione, che ha appena pubblicato per la Franco Angeli Il lato oscuro del digitale. «La rete fa agire d’impulso, moltiplica,
amplifica la grande instabilità. E la variabilità è problematica per la giustizia come per la politica, che ha bisogno di tempo e di fiducia. Il web schiaccia, uccide il tempo. Il suo popolo di impazienti non sa gestire l’attesa. Tutto è istantaneo e pericoloso». Quello in rete è un giudizio terribile, irrazionale e definitivo, con una forte dimensione narcisistica. Ma per Gianluca Nicoletti, giornalista, scrittore ed esperto di web, ormai una nuova strada è stata aperta e non è affatto detto che sia così malvagia: «Il social network ha fatto diventare pubblico quello che non poteva più essere tenuto come privato e così la polizia si è messa in moto il giorno dopo. È un punto di valore. Dobbiamo abituarci a questo cambiamento, reale-irreale, pubblico-privato, tutto è in mutazione. Il mezzo va usato e compreso e può essere un grande aiuto».

Cosa sarebbe successo se Enrica Patti, la madre che ha visto bruciati i due figli dall’ex marito, avesse denunciato online le violenze subite? Forse i suoi figli sarebbero ancora vivi? È una domanda che l’avvocato della donna Pierluigi Milani non si sente neanche di immaginare: «Le vie istituzionali funzionano poco, anzi pochissimo, ma una denuncia su Facebook sfocia nel gossip, non me la sentirei mai di consigliarla. È troppo veloce, superficiale, crea fenomeni imitativi e sembra una trasmissione sportiva dove tutti dicono la loro ed è sempre colpa dell’arbitro. Si rischia in casi così delicati di rimanere invischiati nelle sabbie mobili di
questi nuovi strumenti». Nuovi media che si scontrano con leggi obsolete. E allora, se il virtuale non è reale, gli strumenti contro l’infamia da web restano quelli degli anni Trenta. Spiega l’avvocato Grazia Volo: «La nostra normativa è pensata per un’epoca in cui gli unici mezzi di comunicazione di massa con cui fare i conti erano giornali e radio. Oggi non è più così, testate online, blog, forum, social network... Sarebbe necessaria una riforma che tenesse conto della loro importanza».

Andrebbe ripensato il meccanismo della rettifica: «Su Twitter e Facebook spesso è operazione complessa individuare l’autore della diffamazione» aggiunge la penalista. Qualche mese fa Rosaria Aprea, giovane miss campana, è stata picchiata selvaggiamente dal compagno, l’eco mediatica c’è stata, ma ha avuto l’effetto opposto. «A Rosaria avevo consigliato il silenzio stampa, perché tutto viene strumentalizzato, il caso ampliato, non si capisce più qual è il vero problema. E lei mi ha confessato che oggi non può più uscire di casa, la sua vita privata è ormai diventata pubblica» racconta Carmen Posillipo, che è stata il suo avvocato. «Così uno schiafffo in una lite di coppia può venire strumentalizzato e nelle separazioni sono molto aumentate le denunce di stalking, perché sembra che questa sia la strada più seguita, come 10 anni fa c’erano quelle per presunta pedofilia dei padri. E adesso cominciano ad arrivare storie figli che minacciano di mettere i genitori  su Facebook, accusandoli di limitare la loro libertà». Accendono il riflettore e aspettano, la platea è sempre da tutto esaurito.

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