Perché Bossetti si è avvalso della facoltà di non rispondere
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Perché Bossetti si è avvalso della facoltà di non rispondere

Davanti al giudice che deve deve decidere sull'istanza di scarcerazione, il muratore ha ritenuto che bastavano le parole dei suoi legali

Blue jeans e felpa azzurra. Così si è presentato Massimo Giuseppe Borsetti all'udienza di stamani presso il tribunale della Libertà di Brescia. L'operaio di Mapello, indagato per l'omicidio di Yara Gambirasio, è entrato nel palazzo di giustizia bresciano a bordo di un cellulare della Polizia Penitenziaria con largo anticipo rispetto all'orario dell'udienza fissata per le 12.15. Dopo la relazione di presentazione ha parlato, per l'accusa, il pubblico ministero Letizia Ruggeri. È stata poi la volta della difesa che ha argomentato le proprie tesi in due capitoli. Il giudice Michele Mocciola ha quindi chiesto a Bossetti se avesse qualcosa da dichiarare ma l'indagato ha ritenuto che le esposizioni dei propri legali fossero state esaustive. Ed ha taciuto. Dopo un'ora e quarantacinque minuti l'udienza è terminata e Bossetti è stato condotto all'esterno al riparo delle numerose telecamere presenti all'esterno del tribunale. Si sono invece fermati a commentare l'udienza con la stampa gli avvocati Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni.

Che hanno ribadito i punti su cui si fonda la loro istanza di scarcerazione, già respinta a settembre dal gip del tribunale di Bergamo. In particolare, secondo quanto si apprende da indiscrezioni, i legali avrebbero sollevato un'eccezione procedurale di nullità circa la relazione del Ris dei carabinieri inerenti il reperto di Dna trovato sugli slip di Yara nel campo di Chignolo d'isola. Una obiezione riproposta più volte della difesa di Bossetti in questi mesi, che potrebbe riguardare anche tempi, deleghe e ambiti investigativi nei quali fu effettuato il primo esame da parte del laboratorio del Ris dei carabinieri. Contestate dai legali anche le certezze dell'accusa circa i gravi indizi che si concretizzerebbero nelle polveri di cemento trovate nei polmoni di Yara, nelle celle di telefonia agganciate dal cellulare dell'indagato e nella controversa testimonianza del fratellino che dichiarò che la sorella gli disse di aver paura di un uomo che la pedinava; uno sconosciuto col pizzetto a bordo di un'auto lunga e grigia (Bossetti aveva una Volvo grigia station wagon).

Un uomo che, però, lo stesso fratellino descrisse "alto e grassottello". La sentenza potrebbe arrivare già nel prossimo fine settimana.

Il caso Yara Gambirasio

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Giorgio Sturlese Tosi

Giornalista. Fiorentino trapiantato a Milano, studi in Giurisprudenza, ex  poliziotto, ex pugile dilettante. Ho collaborato con varie testate (Panorama,  Mediaset, L'Espresso, QN) e scritto due libri per la Rizzoli ("Una vita da  infiltrato" e "In difesa della giustizia", con Piero Luigi Vigna). Nel 2006 mi  hanno assegnato il Premio cronista dell'anno.

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