La sentenza Mori e la lettera dei giudici di Palermo
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La sentenza Mori e la lettera dei giudici di Palermo

Il testo scritto da Fontana, Mazzara e Tesoriere in risposta alle accuse del procuratore Vittorio Teresi di avere contatti poco consoni con la stampa

Dopo l’assoluzione nell’ottobre scorso a Palermo del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu dall’accusa di aver favorito Bernardo Provenzano, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi non l’aveva presa bene, tanto che accusò i giudici di "aver scritto la sentenza di un altro processo". Poi chiese scusa ai colleghi ma la sua accusa era stata troppo violenta. E così i tre giudici del collegio (Mario Fontana, Wilma Angela Mazzara e Annalisa Tesoriere) hanno indirizzato una lettera a tutti i colleghi per attaccare il procuratore e per sostenere che le scuse non bastavano: "Teresi avrebbe dovuto pubblicamente spiegare l’infondatezza delle sue estemporanee critiche». Poi l’affondo per i rapporti con quei media che attaccano tutte le sentenze sfavorevoli alla pubblica accusa: "Occorre far di tutto perché i giudici non vengano sfiorati dal sospetto che le aggressioni mediatiche non siano occasionate, ispirate o addirittura suggerite da atteggiamenti o da contatti non consoni dei colleghi pubblici ministeri". Qui il testo completo della lettera.

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Cari colleghi,

consideriamo la pubblica esternazione di Vittorio Teresi del 15 ottobre 2013 il frutto estemporaneo di un particolare momento emotivo, che in quel momento egli non è riuscito a contenere e che lo ha irresistibilmente spinto a mettere in cattiva luce la sentenza Mori e l'estensore della stessa.

Ora, placata la nostra irritazione, che riconosciamo essere stata molto intensa, ci sforziamo di comprendere quell'attimo di sbandamento, figlio di un momentaneo, non controllato, malanimo, che ci permettiamo di reputare sbagliato. È più che legittimo non condividere una decisione ed il pubblico ministero ha i mezzi per fare valere le sue censure: non vi è, dunque, ragione di lasciarsi sopraffare dal risentimento.

Nessuno, ovviamente, è infallibile ed è lungi da noi sentirci i depositari della verità, specie in una vicenda tanto complicata. Alle sentenze - che, naturalmente, vanno rispettate e, quando siano divenute definitive, eseguite - non va attribuito alcun valore sacrale. Si vedrà se i giudici della (eventuale) impugnazione condivideranno o meno la decisione alla quale il Tribunale è faticosamente pervenuto.

Per noi è sempre stata secondaria la questione della irritualità della esternazione di Vittorio, che ha tanto (e giustamente) interessato molti commentatori, non direttamente coinvolti, e che, purtroppo certamente al di là della stessa immaginazione del suo autore, ha dato spunto anche a pubblicazioni che nei nostri confronti sono state dileggianti, quando non gravemente oltraggiose.

A noi, direttamente coinvolti, non è la forma che interessa, ma la sostanza: irrituale che sia, una critica, se è giusta, rimane giusta.

Quello che ci ha fortemente irritato non è il voto negativo ("quattro meno") che Vittorio ha assegnato alla sentenza Mori, ma la oggettiva infondatezza delle critiche sulle quali ha basato quel non lusinghiero apprezzamento (che non riguardava affatto il merito della decisione): più precisamente, la infondatezza dei presupposti di quella negativa valutazione, costituiti dai rilievi secondo cui saremmo andati "fuori tema" ed avremmo scelto un "modo curioso" di redigere la sentenza, dedicando "le prime ottocento pagine a un tema che è stato trattato dall'accusa solo come ipotesi di movente" ed occupandoci "solo in minima parte del tema principale del processo, cioè della mancata cattura di Provenzano".

Non ci soffermiamo sui dati oggettivi che, a nostro modo di vedere, dimostrano inoppugnabilmente la erroneità della critica.

In realtà, riteniamo, in piena coscienza di aver semplicemente cercato di prendere in considerazione tutto il materiale probatorio offerto dalla Accusa e dalla Difesa e, in quest'ambito, di esserci sforzati di esaminare a fondo i fatti che potessero lumeggiare il solo movente (non una generica "ipotesi di movente") prospettato da Pubblico Ministero.

Vorrete convenire che dopo tanto impegno profuso nell'istruire il processo, nel maturare una difficile decisione e nel redigere la sentenza, non poteva che suscitare un moto d'ira sentirsi dire che, in sostanza, avremmo, per larga parte dei cinque anni di dibattimento, lavorato invano, assecondando inutili richieste probatorie dell'Accusa, sui cui risultati avremmo poi abusivamente indugiato.

Vittorio si è, sia pure in termini generici, sforzato di scusarsi ed ha condannato, con parole dure, una inqualificabile pubblicazione che ci ha gravemente denigrato con accuse gratuite e deliranti.

Confessiamo che sarebbe stato per noi più soddisfacente se Vittorio, come gli avevamo chiesto, avesse rimediato alla sua esternazione con specifiche, pubbliche precisazioni atte a spiegare, punto per punto, la infondatezza delle sue estemporanee critiche. Sarebbe stato, a nostro modo di vedere, un importante segnale diretto soprattutto, alle tante brave persone, animate dalle migliori intenzioni, che seguono con giusta (ma talora acritica) attenzione il lavoro suo e dei colleghi del suo gruppo.

Confessiamo che sarebbe stato per noi più soddisfacente se Vittorio, come gli avevamo chiesto, avesse pubblicamente riconosciuto l'inopportunità di intrattenere relazioni con persone che dileggino o insultino i suoi colleghi giudici, rei di aver pronunciato sentenze non gradite. Lo avevamo chiesto perchè spinti non da un inutile puntiglio, ma dalla seria preoccupazione per la libertà e la serenità della giurisdizione. Saprete giusto che in quegli stessi giorni è stato posto in essere un altro inqualificabile attacco a mezzo stampa, volto ad insinuare dubbi sulla imparzialità di un collega, reduce dall'aver pronunciato una sentenza di proscioglimento di un imputato piuttosto in vista.

Siamo sicuri che anche Vittorio ed i colleghi del suo gruppo riconosceranno che nel difficile contesto palermitano la serenità dei giudici non deve essere minacciata dalla prospettiva che una eventuale, non gradita assoluzione scateni inammissibili aggressioni mediatiche. Ed ammetteranno che occorre fare di tutto perchè i giudici non vengano neppure sfiorati dal sospetto che le stesse aggressioni siano occasionate, ispirate o addirittura suggerite da atteggiamenti o da contatti non consoni dei colleghi pubblici ministeri.

Per noi questa spiacevole vicenda si chiude qui, con un cordiale invito a tutti - in primis a noi stessi - a mantenere il giusto pacato distacco dai nostri convincimenti ed a essere sempre disponibili a metterli in discussione.

I tanti motivi di amarezza e di delusione che ci portiamo dietro sono bilanciati dalle benevolenza di numerosi colleghi ed avvocati, che hanno voluto manifestarci la loro solidarietà e la loro stima.

Ad essi va il nostro sentitissimo ringraziamento.

Mario Fontana
Wilma Angela Mazzara
Annalisa Tesoriere

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