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Pa, la carica dei dirigenti "per grazia ricevuta"

Da palazzo Chigi all'Agenzia delle entrate, dai ministeri al Campidoglio: il vizietto di aggirare i concorsi

Assumere dirigenti in modo regolare e senza contestazioni è un compito che si rivela ogni giorno più arduo per la Pubblica amministrazione italiana.

La sequenza del mese scorso, qui rivista a ritroso, è impressionante: il 22 settembre il Consiglio di Stato sospende il concorso per 175 dirigenti all’Agenzia delle entrate; il 21 i carabinieri perquisiscono gli uffici di vari funzionari dell’Agenzia delle dogane (Ministero dell’Economia), accusati di aver passato il tema di un concorso nel 2013; il 15 il presidente dell’Anac Raffaele Cantone boccia 11 assunzioni fatte da Antonio Campo dall’Orto in violazione dei criteri di trasparenza stabiliti dalla Rai.

E all’inizio di settembre, la bufera che rischia di travolgere la giunta del Movimento 5 Stelle a Roma, nasce proprio dalla goffaggine con cui la sindaca Virginia Raggi ha cercato di piazzare tre figure chiave in Campidoglio.

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Si potrebbe obiettare che le storie citate sono troppo diverse per essere accomunate, ma non è così.

Un filo robusto le lega, fra loro e a molte altre: è la disinvoltura con cui si aggirano le norme per il reclutamento dei dirigenti nel settore pubblico. Talvolta i concorsi appaiono chiaramente «aggiustati» (come nell’esempio, riportato il 23 settembre dallo stesso Cantone, delle assunzioni incrociate dei figli dei professori universitari), più spesso si saltano direttamente a piè pari.

È il caso dell’Agenzia delle entrate, che a marzo 2015 si è vista retrocedere da una sentenza della Corte Costituzionale ben 800 dirigenti in quanto nominati senza prove pubbliche, dunque violando l’articolo 97 della Costituzione, secondo cui «agli impieghi nella Pubblica amministrazione si accede mediante concorso».

La sentenza dava tempo fino a fine 2016 per dar luogo a quei concorsi che, in 14 anni di vita dell’Agenzia delle entrate, non si sono mai fatti. Nel frattempo, per non azzopparne le capacità operative (fondamentali nella lotta all’evasione fiscale), la Consulta chiese di attribuire ai funzionari più alti in grado le deleghe tolte ai retrocessi, compreso il fondamentale potere di firma.

Peccato che queste indicazioni non siano state seguite. In quasi due anni l’Agenzia non ha saputo far altro che rimettere in pista due concorsi, già invalidati in passato, che nelle settimane scorse sono stati nuovamente stoppati dalla giustizia amministrativa. Nel frattempo molti dei dirigenti bocciati hanno ottenuto posizioni organizzative speciali a tempo determinato che li collocano in ruoli simili a quelli giudicati illegittimi dalla Coorte Costituzionale (anche se ora sono pagati un po’ meno). E poiché queste posizioni scadono tutte a fine anno ed è impensabile organizzare concorsi a così breve scadenza, nessuno è in grado di dire che cosa succederà fra tre mesi all’Agenzia delle entrate.

Per aggirare l’ostacolo dei concorsi c’è perfino chi si mette in aspettativa come funzionario, facendosi poi riassumere immediatamente dopo come dirigente esterno a tempo determinato. Nella stessa amministrazione! A consentire la magia è il comma 6 dell’articolo 19 del decreto legislativo 165 del 2001 (riforma Bassanini), di cui prevale da tempo un'interpretazione a dir poco elastica.

La dubbia regolarità di queste pratiche è testimoniata da numerose sentenze. In una di queste, nel 2012, il Tribunale di Roma ha condannato il ministero della Difesa a pagare 80 mila euro di danni e spese legali al dirigente Cataldo Bongermino, scavalcato ingiustamente da tre colleghi che non avevano titoli sufficienti (uno di loro, nominato capo del personale, provvide a prepensionare d’ufficio il malcapitato, con un atto poi invalidato dal Tribunale del lavoro). Più recentemente è finita nei guai la presidenza del Consiglio, dove l’interpretazione spregiudicata della legge (sempre la famosa 165 del 2001) ha generato contenziosi a ripetizione.

Solo nel 2015 il Tribunale del lavoro ha disposto centinaia di migliaia di euro di risarcimenti a vantaggio di diversi dirigenti. Per sapere la cifra esatta (che chiaramente potrebbe dar luogo a una denuncia per danno erariale) il sindacato dei dirigenti Dirstat ha presentato un quesito formale, ma ancora non è stato ritenuto degno di una risposta.

In questa gara a chi è più bravo ad aggirare la legge, la pubblica amministrazione locale non è da meno di quella centrale. Così come i dirigenti dell’Agenzia delle entrate, anche il capo della segreteria della sindaca di Roma Virginia Raggi, Salvatore Romeo, è stato messo in aspettativa come funzionario per essere subito riassunto a tempo determinato come dirigente.

E l’attuale capo del personale del Campidoglio, Raffaele Marra, fu assunto nel 2011, per uno stipendio di 307 mila euro lordi l’anno, come direttore del personale dalla Regione Lazio dell’allora presidente Renata Polverini. Ovviamente come esterno, in quanto già allora era al Comune di Roma.

I sindacati fecero ricorso e sia il Tar che il Consiglio di Stato diedero loro ragione, in quanto c’erano all’interno figure più qualificate, ma non servì a nulla. Della questione fu investita anche la Corte dei conti, che all’inizio di quest’anno ha chiesto alla Giunta regionale e al direttore del personale di allora giustificare la loro decisione. Danno erariale ipotizzato: 324 mila euro.

Forse per non essere da meno, la Giunta di Nicola Zingaretti ha appena creato un altro caso: la funzionaria dell’Azienda regionale per l’edilizia territoriale (Ater) di Roma Estella Marino, già consigliere comunale del Pd nonché assessore all’Ambiente in Campidoglio con Ignazio Marino, è stata appena destinata a un nuovo incarico di grande responsabilità in fatto di lavori pubblici e organizzazione del lavoro.

La nomina non comporta al momento remunerazioni aggiuntive, ma il punto è proprio che, secondo i sindacati, questo potrà avvenire in tempi ravvicinati, essendo l’incarico conferito esorbitante rispetto alla sua qualifica attuale. E non rassicura certo che il direttore generale dell’Ater abbia disposto nella stessa delibera di non pubblicare l’atto di nomina sul sito web dell’azienda, in contrasto con quanto prevede la legge.

Ai vertici di ministeri, agenzie, aziende statali, regionali e comunali, sono evidentemente in molti a pensare che le procedure di un concorso, e perfino quelle di un "interpello" (selezione meno impegnativa che in alcuni casi può sostituire il concorso), siano troppo lunghe e vincolanti. Ammesso e non concesso che abbiano le loro ragioni, perché non le sostengono alla luce del sole anziché andare alla ricerca di ogni cavillo buono a spianare la strada agli amici e a lasciare al palo tutti gli altri?

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Stefano Caviglia