L'asilo vuoto di Corigliano
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L'asilo vuoto di Corigliano

A Corigliano Calabro il commissario del comune (sciolto per mafia) trasferisce un asilo nella villetta sequestrata a un condannato. Ma i genitori si rifiutano di portarci i bimbi. Paura di ritorsioni?

Ogni mattina, dall’inizio dell’anno scolastico, il pulmino giallo fa il giro del paese e torna senza aver visto neppure l’ombra di un bambino. Ogni mattina, da circa 100 giorni, 6 maestre e una bidella entrano a scuola, aprono i registri, segnano l’assenza per tutti e poi rimangono dentro le classi vuote a contare i minuti fino alle 13. Ogni mattina, da quando il comune ha trasferito la scuola materna in un nuovo edificio distante circa 2 chilometri dal vecchio, 25 mamme, arrabbiate e compatte, dicono no: i nostri figli ce li teniamo in casa.

Siamo a Corigliano Calabro, provincia di Cosenza. Dove, per completare il quadro, bisogna aggiungere altri due elementi importanti: il comune della Calabria è stato sciolto per mafia e il commissario straordinario del governo ha stabilito il nuovo asilo proprio in un immobile confiscato alla criminalità. Quindi le polemiche fioccano, perché il dubbio, neppure tanto celato, è che dietro il rifiuto dei genitori si nasconda la paura di ritorsioni, pure legittima, o peggio la contiguità con la famiglia a cui è stato sottratto l’immobile.

Riavvolgiamo il nastro e cominciamo dall’inizio. Il 9 giugno 2011 il Comune di Corigliano viene sciolto per infiltrazioni mafiose emerse nel corso dell’indagine giudiziaria Santa Tecla, che porta all’arresto di 60 persone e tocca da vicino il sindaco Pasqualina Straface e alcuni componenti della giunta. Il governo nomina una commissione straordinaria presieduta dal viceprefetto di Crotone, Rosalba Scialla, che si insedia pochi giorni dopo e trova una situazione disastrosa.

Dal 2006 al 2009, a Corigliano si sono succedute ben 9 amministrazioni, 4 delle quali guidate da commissari prefettizi. Risultato: debiti enormi, appalti pendenti, opere pubbliche bloccate, servizi scadenti. Gli uffici comunali sono disseminati a pioggia in immobili privati presi in affitto. La percentuale di evasione dei tributi locali per acqua, rifiuti, occupazione del suolo pubblico supera il 40 per cento. Intanto, il meraviglioso castello ducale è chiuso a fare la muffa, come il teatro e altri edifici pubblici.

Tra gli sperperi, salta fuori che la scuola materna è ospitata in affitto in un edificio privato con destinazione agricola. E senza le condizioni di sicurezza richieste. Tutto questo mentre il comune si ritrova in casa tre beni confiscati, di cui uno è a disposizione di un’associazione che si occupa di portatori di handicap, mentre gli altri due rimangono inspiegabilmente inutilizzati. In un periodo di magra per il bilancio, anche a causa dei forti tagli del governo agli enti locali, il trasferimento di sede della scuola diventa un passo obbligato e si concretizza ai primi di ottobre.

La nuova scuola materna è ricavata dentro una villetta confiscata a Giovanni Vulcano, condannato a 22 anni di carcere per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Per raggiungere l’edificio bisogna attraversare un vialetto che costeggia la casa dove continuano ad abitare i genitori di Vulcano, i quali non hanno più rapporti con il figlio.

Fatto sta che inizia la scuola e i bambini non si presentano. I genitori non sono affatto contenti, il nuovo edificio è troppo distante, e molti di loro, lamentano, non hanno la macchina per accompagnare i figli. Il commissario Scialla cerca di venire loro incontro e istituisce un servizio di scuolabus. Respinto al mittente, troppo caro. Scialla prova allora con le agevolazioni, rivolte soprattutto alle famiglie con più figli. Niente da fare. Passano i giorni e i mesi e le maestre rimangono senza bambini. Si attivano, bussano porta a porta, chiedono, pregano per il bene dei piccoli. Invano.

Nel frattempo di scopre che dei 25 alunni, di età compresa tra 3 e 5 anni, 9 sono stati iscritti in una scuola di Schiavonea, che è molto più distante, 2 in un istituto privato, uno in un comune ancora più lontano e un altro nella frazione principale di Corigliano. Dei restanti 12, nessuna notizia.

«Questa è una storia emblematica» racconta il commissario Scialla a Panorama. «Qualcuno vorrebbe etichettarla come un fallimento, dicendo che abbiamo sottratto un bene alla criminalità, ma la comunità lo ha rigettato. Non è così. Questa è l’azione dello Stato. Nell’atto in sé c’è un messaggio forte, un segnale di risanamento e di rinnovamento indirizzato a tutta la comunità. È un inizio, la scuola non è vuota, è piena di messaggi e di significati. E quelle maestre che ogni mattina entrano nelle aule sono un simbolo di legalità e di presenza dello Stato nel territorio».

Già, le maestre. Passare la giornata nel silenzio più assoluto è deprimente. «È diventata una tortura quotidiana» si lamentano, ma chiedono di non scrivere i loro nomi. «Eppure ci sforziamo di fare il nostro dovere, con grande amore, perché crediamo in questo progetto. E speriamo di potere scardinare in qualche modo questo muro di rifiuto». Ci tengono a dire che dalla vicina di casa non sono mai arrivate parole o gesti o sguardi di nessun genere. Niente, solo indifferenza. Ma quando invece il discorso cade sui piccoli, allora la voce si strozza e gli occhi si bagnano. Raccontano di una bambina che ha risentito del distacco: non vuole andare nella nuova scuola, ha ripreso a fare la pipì a letto ed è diventata inappetente. Ma i genitori sono irremovibili: piuttosto rimane a casa.

Un paio di mamme accettano di parlare con Panorama, purché protette dall’anonimato: «I bambini vanno tutelati, è giusto che la scuola sia vicino casa, perché se hanno bisogno tu puoi correre. E poi non siamo state interpellate per tempo, dovevano dircelo in estate, non possono fare tutto di testa loro». In realtà risulta che siano state interpellate e che non abbiano mai partecipato agli incontri. Chiediamo: e se vi avessero coinvolto? «Ci saremmo opposte lo stesso». Voi parlate di distanza e impossibilità di portarli nel nuovo edificio, e lo scuolabus? «Troppo caro». E le convenzioni? «Non ci interessano, con gli stessi soldi si poteva continuare a stare di là, dove c’erano aule più grandi e un cortile degno di questo nome». Siamo sicuri che la questione non sia tutt’altra? I vicini per esempio. «No, per noi la signora non è un problema». Ma mentre pronunciano queste parole la voce si abbassa e le pupille degli occhi si muovono quasi a volere cercare di guardare dietro, oltre le finestre chiuse.

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Carmelo Abbate