Lampedusa, i sopravvissuti: "Minacciati con le armi per salire a bordo"
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Lampedusa, i sopravvissuti: "Minacciati con le armi per salire a bordo"

Il racconto degli scampati al naufragio davanti alle coste libiche, che avrebbe provocato oltre 300 vittime

Mandati a morire con la forza; costretti a salire su quattro gommoni malconci e ad affrontare il mare in tempesta, sotto la minaccia delle armi, dopo avere pagato mille dinari per una traversata senza ritorno. È la drammatica testimonianza di due superstiti dell'ultima tragedia avvenuta nel Canale di Sicilia. Moussa e Ismail (nomi di fantasia perché preferiscono non rivelare la loro identità) sono due giovani originari del Mali che hanno poco più di vent'anni. Insieme ad altri sette compagni sono gli unici sopravvissuti al naufragio di due dei quattro "barconi della morte".

Nei loro occhi c'è ancora la paura e l'orrore per la tragedia vissuta. "Il primo gommone - raccontano - si è bucato e ha cominciato a imbarcare acqua prima di essere travolto dalle onde del mare, l'altro si è sgonfiato nella parte prodiera ed è poi affondato. Noi siamo finiti in acqua e ci siamo aggrappati alle cimem, mentre i nostri compagni annaspavano scomparendo tra le onde del mare in tempesta". 


Ammassati in un campo in Libia

Moussa e Ismail sono sbarcati sul molo Favaloro da una motovedetta della Guardia Costiera. Ieri erano approdati a Lampedusa altri 76 superstiti che erano sul terzo battello; 29 loro compagni di viaggio invece non ce l'hanno fatta e sono stati stroncati dal freddo. Morti per ipotermia mentre venivano trasferiti sull'isola dalle motovedette della Guardia Costiera. Ma i due testimoni parlano anche di un quarto gommone con un centinaio di profughi a bordo, che faceva parte della stessa "spedizione" e di cui si sono perse le tracce. "Da alcune settimane - spiegano - eravamo in 460 ammassati in un campo vicino Tripoli in attesa di partire. Sabato scorso i miliziani ci hanno detto di prepararci e ci hanno trasferito a Garbouli (una spiaggia a circa 50 chilometri a est dalla capitale ndr). Eravamo circa 430, distribuiti su quattro gommoni con motori da 40 cavalli e con una decina di taniche di carburante".

Secondo questa ricostruzione, dunque, sarebbero circa 330 i dispersi, anche se nessuno nutre più molte speranze sulla possibilità di riuscire a trovarli ancora vivi. Mandati deliberatamente allo sbaraglio da trafficanti senza scrupoli, come confermano i due superstiti. Moussa e Ismail raccontano infatti che ognuno di loro avrebbe pagato per la traversata mille dinari, circa 650 euro, ma sopratutto rivelano un particolare sconcertante: "Ci hanno assicurato che le condizioni del mare erano buone, ma in ogni caso nessuno di noi avrebbe potuto rifiutarsi o tornare indietro: siamo stati costretti a forza a imbarcarci sotto la minaccia delle armi".

Mare in tempesta

I quattro gommoni, partiti uno dopo l'altro a distanza di mezz'ora, subito dopo avere preso il largo si sono invece trovati ben presto in difficoltà a causa del mare in tempesta e delle onde altissime. Alcuni di loro hanno lanciato con un satellitare l'Sos, raccolto dalla centrale operativa delle Capitanerie di Porto di Roma che ha immediatamente fatto scattare l'allarme. Il primo gommone è stato soccorso da due mercantili dirottati nella zona; gli altri due hanno fatto naufragio e gli unici nove superstiti sono stati raccolti in serata da un'altra nave. Dell'ultima imbarcazione nessuna traccia, nonostante le ricerche condotte dalle motovedette della Guardia Costiera e da due aerei. L'ennesima strage di vittime innocenti, tra cui alcuni bambini. "Sul mio gommone - racconta Moussa - c'erano almeno tre ragazzi della Costa d'Avorio, potevano avere non piu' di 13-14 anni. Anche loro sono scomparsi tra i flutti....". 

Un "orrore" aveva dichiarato lunedì il presidente della Camera, Laura Boldrini, commentando la notizia del naufragio. "Persone morte non in un naufragio, ma per il freddo. Queste le conseguenze del dopo #MareNostrum", aggiunge in un tweet l'ex portavoce dell'Unhcr. 


Salvataggio difficile

La richiesta di aiuto alla Centro nazionale di soccorso operativa delle Capitanerie di porto di Roma è arrivata tramite un telefono satellitare nel primo pomeriggio di domenica,  febbraio. Scattato l'allarme, sono stati dirottati subito due mercantili che si trovavano in zona, il Bourbon/Argos e il Saint Rock, e contemporaneamente sono partite da Lampedusa due motovedette della Guardia costiera che in piena notte hanno completato il trasbordo dei migranti e ripreso la rotta verso Lampedusa. Ma le operazioni di salvataggio sono state difficilissime, a causa delle condizioni proibitive del mare: forza otto e onde alte anche fino a nove metri, l'equivalente di un palazzo di tre piani.

Una situazione pericolosa per tutti, che ha messo a rischio la stessa sopravvivenza dei soccorritori, come evidenzia la drammatica testimonianza del portavoce delle Capitanerie di Porto, Filippo Marini, mentre ancora erano in corso le operazioni: "I nostri uomini sono allo stremo e stanno mettendo a rischio la propria vita. Operare in queste condizioni è proibitivo e riuscire a portare in salvo decine di persone è un miracolo".

Inevitabili le polemiche: "Triton non è sufficiente" dicono in coro le organizzazioni umanitarie , assieme ai partiti di sinistra, che puntano l'indice sulla decisione di Matteo Renzi e del suo governo di cancellare Mare Nostrum. Ma anche alcuni esponenti del partito del presidente del Consiglio non hanno dubbi: "bisogna ripensare Triton", sottolinea tra gli altri l'europarlamentare del Pd Renato Soru. Mentre il Cocer della Guardia Costiera invoca più uomini e mezzi, con l'ammodernamento della flotta e l'utilizzo dei militari in esubero, che nei prossimi anni andranno in mobilità o prepensionamento. (ANSA).

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Lo sbarco di alcuni immigrati a Lampedusa (Credits: ANSA / ELIO DESIDERIO)

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