Musei, perché il Tar del Lazio ha bocciato la riforma Franceschini
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Musei, perché il Tar del Lazio ha bocciato la riforma Franceschini

Il bando che ha portato alla nomina dei venti super direttori "non poteva ammettere la partecipazione al concorso dei cittadini non italiani"

I turisti li hanno promossi per competenza e il Tar li boccia per cittadinanza.

Da anni il Tribunale di Giustizia amministrativa ci aveva abituato a sentenze spericolate, ma mai si era spinto fino alla sentenza da “strapaese”.

Con due distinte pronunce, il Tar del Lazio ha infatti annullato la nomina di cinque direttori stranieri, ha smontato quella riforma dei musei che è stata giustamente il vanto del ministro della Cultura, Dario Franceschini, ma anche un ricambio d’aria cosmopolita, un’operazione che ha sgomberato gli stanzini dei musei italiani.

Per il Tar il bando promosso dal Mibact «non poteva ammettere la partecipazione al concorso di cittadini non italiani».

Sembra un tweet di Donald Trump e invece è il Tar del Lazio.

Eppure c’è tutta la sapienza dei causidici nella decisione di questo tribunale. Chini sul codice, i giudici amministrativi hanno fatto confliggere il regolamento del Mibact con il bando dello stesso Mibact.

E dunque, scrivono i giudici, «il bando non poteva ammettere la partecipazione al concorso dei cittadini non italiani in quanto nessuna norma derogatoria consentiva al Mibact di reclutare dirigenti pubblici al di fuori delle indicazioni tassative espresse dall’articolo 38 ...». Non c’è solo questo. In discussione c’è anche la formula con cui i direttori sono stati selezionati: colloqui via Skype e audizioni a porte chiuse.

In pratica, il tribunale rimprovera una carenza di norme, invoca un'ulteriore mole di commi, paragrafi emendati, capi, tabelle.

Del resto, è sempre la sentenza a dirlo, «se il legislatore avesse voluto estendere la platea degli aspiranti ricomprendendo anche cittadini non italiani lo avrebbe detto chiaramente». Non serve continuare.

Sul funzionamento della giustizia amministrativa, ha già detto tutto Eike Schmidt, tedesco e direttore degli Uffizi proprio per virtù di quel bando. «Io preoccupato della sentenza del Tar? Ero molto più scioccato quando i centurioni hanno vinto con l’aiuto del Tar e sono tornati al Colosseo … sembrava uno sketch di Crozza e invece era la realtà».

Le nomine illegittime, secondo la sentenza, sarebbero cinque: quella di Palazzo Ducale a Mantova, Galleria Estense di Modena, museo archeologico di Napoli, Reggio Calabria e Taranto. Di tutti non solo si può dir bene ma si può registrare il successo. Ma vale la pena raccontare cosa ha prodotto la riforma che ha portato alla guida dei più importanti musei italiani 20 nuovi direttori.

A Paestum, il direttore Zuchtriegel ha aumentato il numero dei visitatori del 27 per cento, con il fundraising è riuscito a riprendere gli scavi fermi da quasi dieci anni, riqualificato la tomba del Tuffatore abbandonata con il suo pavimento sconciato, aperto i depositi, restituito i templi ai disabili. Stessa cosa si può dire di Firenze.

Oggi, agli Uffizi, la Venere di Botticelli non è soffocata dai turisti ma rinasce ogni giorno in una sala vasta e ospitale. A due anni dalla nomina, i venti super direttori, forse maldestramente così definiti, si sono dimostrati venti infaticabili uomini di comando. Insomma, per la prima volta i musei non sono stati luoghi penitenziali e angusti, ma luoghi aperti e di profitto.

Non si tratta di una novità tutta straniera. Bolognese è Mauro Felicori che a Caserta è stato accusato dai sindacati «di lavorare troppo». Di Catanzaro è il laborioso Carmelo Malacrino che a Reggio Calabria ha rimesso in piedi i Bronzi di Riace.

E per fortuna, sembra non essersi ancora pronunciato nessun Tar in Francia dove Claudia Ferrazzi, esperta di management culturale, è stata convocata dal presidente Emmanuel Macron per il ministero della Cultura. Ha detto bene quindi Matteo Renzi subito dopo aver saputo della notizia: «Non abbiamo sbagliato perché abbiamo provato a cambiare i musei. Abbiamo sbagliato perchè non abbiamo provato a cambiare il Tar».

La notizia sta infatti scatenando i ricorrenti. Ed è bastato apprendere della bocciatura per sapere che già un ricorso, che lo stesso Tar ha favorito, dallo stesso Tar è a sua volta stato bocciato.

È quello di Giovanna Damiani che ha ricorso contro la nomina di Schimdt. Ebbene, in quello che appare un inferno di sentenze, la sensazione è di perdersi non più per musei ma per tribunali, di farsi accompagnare non più dagli storici dell’arte ma dagli avvocati. La verità è che ai venti direttori bisognerebbe aggiungerne ancora uno. Insomma, altro che Uffizi! È il Tar il vero grande museo italiano.


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Carmelo Caruso