Grasso lascia a mani vuote la Procura di Palermo
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Grasso lascia a mani vuote la Procura di Palermo

Il Presidente del Senato interrogato oggi ha smontato l'ipotesi della Procura sulla sempre più "presunta" trattativa Stato-Mafia

Oggi, 11 luglio, il presidente del Senato Pietro Grasso ha deposto come testimone dell’accusa nell’aula bunker dell’Ucciardone nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia. I magistrati palermitani si aspettavano elementi particolarmente utili dalle dichiarazioni di Grasso, ex procuratore antimafia: in particolare sulle pressioni che Grasso avrebbe subito da parte di Gianfranco Ciani, procuratore generale della Cassazione, tramite l’intercessione del consigliere giuridico del capo dello Stato, Loris D’Ambrosio, morto d’infarto nel 2012 (al culmine di una denigrante campagna mediatica) che aveva più volte raccolto per telefono gli sfoghi del senatore Nicola Mancino, preoccupato proprio di entrare nel tritacarne giudiziario del processo Stato-mafia. 

Ma la procura di Palermo è rimasta ancora una volta a mani vuote. Senza prove: solo suggestioni mediatiche. Infatti l’ex procuratore antimafia rispondendo a ogni domanda, ha sostenuto: «Nessuno mi chiese la formale avocazione dell’indagine trattativa tra Stato e mafia. È tutto documentabile».

Ricordando l’incontro con Loris D’Ambrosio, Grasso ha dichiarato: «Mi parlò solo delle continue lamentele ricevute dal senatore Mancino, che si sentiva perseguitato per l’inchiesta sulla “trattativa”. Sapevo benissimo qual era il problema di Mancino: l’avevo incontrato a dicembre del 2011 per gli auguri natalizi. Fu un incontro veloce davanti al guardaroba del Quirinale. Mi disse che si sentiva perseguitato, che era ansioso perché vi erano delle differenti valutazioni su suoi comportamenti e omissioni dalle diverse procure».

Per quanto riguarda invece l’incontro avvenuto il 19 aprile 2012 con Gianfranco Ciani, procuratore generale della Cassazione, Grasso ha spiegato: «Quando ero procuratore nazionale antimafia ricevetti una telefonata da Ciani, che si era appena insediato. In quell’occasione si parlò di problemi di coordinamento, problemi che potevano derivare dalla necessità di un’unità di indirizzo da parte di diverse procure (Caltanissetta e Palermo, ndr), che intervenendo sugli stessi fatti, sentendo le stesse persone, potevano avere valutazioni diverse». 

È notorio che in quel momento storico le maggiori frizioni tra gli inquirenti siciliani riguardavano il diverso giudizio espresso nei confronti del teste Massimo Ciancimino, bollato come «totalmente inattendibile, menzognero e dedito solo alla conservazione dei propri beni» dai magistrati nisseni; mentre veniva considerato «attendibile e caratterizzato da buona fede» dagli inquirenti palermitani. 

Il quadro che emerge dalle frasi dell’ex procuratore antimafia è che la Procura di Caltanissetta, seguendo pedissequamente le direttive, faceva circolare alle altre procure d’Italia tutti gli atti per un maggior coordinamento e scambio di materiale d’indagine; invece Palermo non collaborava. 

I magistrati di fronte a così forti dichiarazioni, con l’aula bunker piena di giornalisti, inizialmente hanno incassato il colpo con nonchalance. Ma poi sono iniziate le scintille con il presidente Grasso, soprattutto da parte del pm di punta dell’inchiesta Stato-mafia, Antonino Di Matteo. A un certo punto della deposizione, per esempio, Di Matteo ha chiesto a Grasso di fare chiarezza su un punto, precisando polemicamente di “aver trascritto letteralmente la frase pronunciata” dal testimone. Grasso ha risposto a tono: «Dottor Di Matteo, lei non ha annotato perfettamente il senso delle mie parole» e ha aggiunto: «Ribadisco: non ho mai parlato di pressioni, questa è sua deduzione. Nei miei incontri (con Ciani, ndr), tutti documentabili, non ho mai affrontato alcun tema processuale. Ripeto: il dibattimento di un processo non rientrava nelle mie funzioni. Ho detto le cose come sono andate e mi si può dare atto che nessuna interferenza ci fu mai da parte mia nelle indagini sulla trattativa».

Al termine della sua deposizione, Grasso si è sfogato con il presidente della Corte d’assise: «Posso esprimere una mia sorpresa? Pensavo di essere ascoltato come testimone e anche come persona offesa, visto che qualcuno, come il pentito Giovanni Brusca, ha sostenuto che ero tra quelli a cui dare un colpetto. Solamente una piccola annotazione, perché non mi sarei mai costituito parte civile».

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Anna Germoni