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Giovanni Falcone, quante lacrime di coccodrillo

Claudio Martelli, ministro della Giustizia all'epoca dei veleni di Palermo e dell'attentato a Capaci, ricorda chi fossero i nemici del magistrato

C'è un documento che meglio di ogni altro racconta chi era Giovanni Falcone, il suo metodo investigativo, la sua probità di uomo e di giudice e, all'opposto, la faziosità, la non professionalità e l'ignoranza giuridica dei suoi detrattori.

È il verbale dell'interrogatorio cui Falcone fu sottoposto dal Csm il 15 ottobre del 1991.
La denuncia, firmata da Leoluca Orlando Cascio, era di non aver indagato Salvo Lima e l'imprenditore Costanzo come mandanti dell'assassinio di Piersanti Mattarella.

Falcone conferma: "Ci sono appalti di poco conto e appalti miliardari per la rete fognaria e l'illuminazione" e ribadisce, "Nonostante i cambiamenti la politica dei grandi appalti a Palermo non è ancora trasparente... con Orlando sindaco è tornato a imperare Ciancimino".

La denuncia di Orlando era dunque una vendetta.

Un pentito aveva riferito una frase equivoca di Costanzo a proposito del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e il Csm chiede al giudice più famoso al mondo perché non agì.


Falcone replica: "Io non mando avvisi come coltellate... chiedere rinvii a giudizio senza la ragionevole probabilità di vincere è immorale... così si scredita la giustizia". Con i pentiti, bisogna evitare "rapporti intimistici", guai a fargli capire a cosa punti, se sono uomini d'onore si chiuderanno, se sono inaffidabili ti diranno quel che vuoi in cambio di sconti di pena.

Quello con cui parlavo e che avevo chiamato a lavorare con me al Ministero della giustizia era un Falcone isolato, denigrato dai colleghi rivali e dai tromboni dell'antimafia.
Insieme elaborammo la strategia che sgominò l'esercito mafioso. Oggi lo riconoscono anche quelli che allora fecero di tutto per ostacolarci, come l'Anm che indisse uno sciopero generale contro la super procura e come il Csm che bloccò la nomina di Falcone a procuratore nazionale.

Dopo la strage lesti ad ammantarsi della memoria di Falcone furono anche quelli del pool mani pulite. Ma Ilda Boccassini li smascherò e li sfidò: "Voi non vi fidavate di Falcone, gli avete mandato le rogatorie sulle tangenti senza allegati provocandogli un'infinita amarezza". Traboccante sdegno, Boccassini citò nomie cognomi: Mario Almerighi di Magistratura democatica che definì Falcone "un nemico politico" e quelli del Csm che lo accusarono di essersi "venduto" al governo e al ministro Martelli.

"Se pensate che Falcone non era più libero e indipendente perché andate ai suoi funerali? Colombo perché vai ai suoi funerali? Nando Dalla Chiesa e Orlando voi non potete andarci".

Un discorso a parte meritano i magistrati siciliani - gli Ingroia, i Di Matteo - che si professano discepoli di Falcone e Paolo Borsellino. Nei fatti e nelle scelte processuali più che a Falcone e Borsellino sembrano ispirarsi ai loro nemici.
Ritornano i teoremi fragorosi e indimostrabili, l'ossessione del terzo livello - la politica che comanda la mafia - gli avvisi di garanzia come coltellate, i rinvii a giudizio senza altre prove che le dichiarazioni intimistiche di pentiti in cerca d'autore.

In sottofondo si ode il rumore di processi vivi in tv e morti nei tribunali mentre a Palermo Orlando si ricandida sindaco per la quinta volta.

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Claudio Martelli