Yara, Motta Visconti: la ferocia dell'uomo normale
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Yara, Motta Visconti: la ferocia dell'uomo normale

Sono padri di famiglia, premurosi con i figli, sorridenti su Facebook. Ma capaci di uccidere senza pietà. Mostri? In realtà, persone comuni. Per questo ci fanno paura - Yara, l'ultimo segreto - Il test del Dna - 20 domande ai magistrati del caso Yara

Com’è possibile? Lo sgomento nasce dall’efferatezza dei delitti e dalla normalità apparente di chi ha commesso il delitto. Sia per il caso dell’assassinio della giovane Yara, sia per quello che ha visto protagonista il padre che ha sterminato a coltellate la propria famiglia a Motta Visconti, la vita dei due uomini sembra incompatibile con il gesto commesso. Se andiamo indietro nel tempo, ci accorgiamo che altre volte ci siamo posti quella semplice e spontanea domanda: come è possibile?

Le cronache ci descrivono il padre premuroso che ha appena finito di montare nel giardino di casa la piscina per i figlioletti, quell’altro è fotografato con cagnolino, gatto e prole in un quadretto idilliaco... in realtà mostri capaci di annientare nel modo più brutale vite fragili, persone fino a poco prima amate. Sgomento, certo, perché, in fondo, vorremmo che l’assassino avesse un volto riconoscibile, che le teorie di Lombroso sulla fisiognomica fossero un’etichetta su cui leggere il carattere, la bontà, la cattiveria delle persone. E, infatti, se il criminale che ha tagliato a pezzi la vicina di casa avesse scritto sulla fronte che è un delinquente, inorridiremmo per quel delitto selvaggio, ma saremmo in cuor nostro rassicurati perché sapremmo guardarci da
tutti quelli che hanno la faccia come lui. E invece veniamo presi in contropiede e abbiamo paura, ma in realtà solo una paura che dura finché non svaniscono gli effetti dell’emozione, della sorpresa, dello sgomento per quegli insospettabili assassini. Semmai persistono vecchie e tradizionali cautele che vanno dal "non prendere le caramelle da uno sconosciuto" al "non dare confidenza ai nuovi vicini di casa finché non si sa chi siano". Poi prevale ovviamente la convinzione che, se un papà si mostra tanto premuroso per i propri figlioletti e quell’altro così tenero verso gatti, cagnolini e figli compresi, sono persone per bene che si possono invitare a cena.

Sbagliato? Se rispondessi sì, costruirei un gigantesco edificio esistenziale in cui abiterebbe incontrastato il sospetto; se rispondessi no, finirei per sostenere che due mele bacate in un bel cesto non sono sempre immediatamente riconoscibili e che, comunque, non c’è niente di cui preoccuparsi perché tutte le altre sono buone.

È evidente che quel sì e quel no, e anche l’eventuale ni, sono il prodotto della nostra cultura, del modo in cui siamo preparati a capire cosa sia il male in questo mondo. L’uomo moderno è figlio dell’Illuminismo, in cui prevale l’idea che l’educazione alla razionalità sia il tessuto connettivo della società. Ma, poi, quest’idea fa una brutta figura tutte le volte che istinti, pulsioni irrazionali si manifestano come padroni della nostra psiche.

Senza andare a scomodare la filosofia di Nietzsche e la psicoanalisi di Freud, si pensi al celebre romanzo di Robert Louis Stevenson: Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde. Nell’uomo vivono intrecciati il bene e il male, ma in un groviglio inestricabile. Ci piacerebbe poter dipanare la matassa e vedere il filo del bene separato da quello del male, ma non è possibile: dobbiamo rassegnarci ad ammettere che sono entrambi presenti nella natura umana e che talvolta, inaspettatamente, nonostante la razionalità, la cultura, gli interessi raffinati di cui si dispone, ecco che il male può sopraffare violentemente il bene. Nel romanzo di Stevenson sembra che ci si debba rassegnare all’eventualità che il male possa colpire all’improvviso inaspettatamente. Il caso dell’assassino di Motta Visconti e quello di Yara Gambirasio ne sarebbero una conferma. Dunque, a nulla potrebbe servire l’educazione ai buoni sentimenti per arginare l’insorgere del male dalle profondità della psiche. Troppo pessimismo, così come eccessivo è l’ottimismo illuminista. La via di mezzo è l’umiltà. Educare all’umiltà, credo sia il semplice segreto per capire i nostri limiti, per conviverci e imparare a sopportare un rifiuto, un’offesa, una cattiveria senza reagire con presunzione: presunzione che è molto spesso all’origine della violenza.

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Stefano Zecchi