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Così hanno incastrato il killer del procuratore Caccia

Il panettiere torinese, arrestato oggi dalla squadra mobile, avrebbe dato il colpo di grazia al magistrato ucciso nel capoluogo piemontese 32 anni fa

Il panettiere di origini calabresi, Rocco Schirripa, arrestato oggi dopo 32 anni dal delitto Caccia ansa foto

 Rocco Schirripa, il panettiere 62enne calabrese arrestato dalla Squadra Mobile per l'omicidio del procuratore Bruno Caccia avvenuto a Torino il 26 giugno 1983 ad opera di un commando di almeno due uomini, è stato incastrato grazie ad una lettera anonima inviata dagli inquirenti milanesi a Domenico Belfiore, il boss della 'ndrangheta già condannato all'ergastolo per l'episodio. Una trappola ben congegnata in cui i responsabili del delitto, che non sapevano di essere intercettati, sono caduti mani e piedi, finendo per incastrare il panettiere killer.

La lettera anonima conteneva la fotocopia di un articolo del quotidiano 'La Stampa' di 32 anni fa, con la notizia dell'arresto di Domenico Belfiore. Sul retro, gli investigatori hanno scritto il nome 'Rocco Schirripa', con l'obiettivo di sondare la reazione su uno dei sospetti che, all'epoca, era un considerato un soldato della famiglia calabrese Belfiore. Belfiore, che attualmente si trova agli arresti domiciliari per motivi di salute, non sapendo di essere intercettato, pur utilizzando diverse precauzioni ha parlato dell'episodio con suo cognato, Placido Barresi, che era stato assolto dall'accusa di omicidio.

Barresi ne ha parlato a sua volta con Schirripa che, interrogandosi su chi avesse inviato la lettera anonima con il suo nome, aveva anche progettato la fuga, resa impossibile dall'arresto operato dalla Squadra mobile di Torino in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Milano Stefania Pepe. La lettera anonima, ha spiegato il procuratore di Milano facente funzione, Pietro Forno, è  stata una scommessa investigativa che ha consentito di raccogliere elementi a carico di Schirripa, scatenando una reazione 32 anni dopo il delitto.

Schirripa - secondo i pm Ilda Boccassini e Marcello Tatangelo - avrebbe dato il «colpo di grazia» al magistrato, vittima di 14 colpi di pistola mentre portava a spasso il suo cane, un cocker, sotto casa, in via Sommacampagna, davanti al numero civico 15, sulla precollina di Torino. Allora, come risulta dall'articolo de La Stampa pubblicato 32 anni fa, pochi giorni dopo il delitto, i magistrati sbagliando seguirono subito la pista brigatista. Poi quella dei Nar. L’imbeccata giusta arrivò da un mafioso in galera, Francesco Miano, boss della cosca catanese insediata a Torino che aveva raccolto in carcere le confidenze del ‘ndranghetista Domenico Belfiore, uno dei capi della ‘ndrangheta a Torino condannato all'ergastolo nel 1993. Il motivo principale dell'omicidio del magistrato era che "con il procuratore Caccia non ci si poteva parlare", come disse lo stesso Belfiore

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