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Il Tribunale di Sorveglianza dice no alla scarcerazione di Riina

La Corte di Cassazione aveva accolto il ricorso della difesa di Totò Riina, che aveva chiesto il differimento della pena o la detenzione domiciliare

Il tribunale di sorveglianza di Bologna ha rigettato la richiesta di differimento pena o, in subordine, di detenzione domiciliare presentata dai legali del boss Totò Riina.

I giudici hanno riunito due procedimenti, decidendoli insieme.
Riina quindi resta detenuto al 41bis nel reparto riservato ai carcerati dell'ospedale di Parma.

Alla richiesta dei legali, motivata da ragioni di salute del boss, si è opposto il pg di Bologna Ignazio De Francisci.

Il mese scorso, la prima sezione penale della Corte di Cassazione aveva accolto il ricorso della difesa di Totò Riina che aveva chiesto il differimento della pena o, in subordine, la detenzione domiciliare.

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La richiesta della difesa era stata respinta nel 2016 dal tribunale di sorveglianza di Bologna.

Da anni la difesa del capo di Cosa Nostra chiede il differimento della pena o i domiciliari per le condizioni di salute. I giudici gli hanno negato sempre questo diritto, chiesto tra l'altro in passato anche da Bernardo Provenzano, trattenuto fino alla morte al 41 bis.

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Il giudice deve tenere conto della malattia del detenuto

La Cassazione ha annullato il primo provvedimento del tribunale poiché il giudice nel motivare il diniego aveva omesso "di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico".

La sofferenza oltre la legittima esecuzione della pena

Lo scorso anno il tribunale di sorveglianza di Bologna non aveva ritenuto che vi fosse incompatibilità tra l'infermità fisica di Riina e la detenzione in carcere, visto che le sue patologie venivano monitorate e quando necessario si era ricorso al ricovero in ospedale a Parma.

Ma la Cassazione sottolineò, a tale proposito, che il giudice deve verificare e motivare "se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un'afflizione di tale intensità" da andare oltre la "legittima esecuzione di una pena".

La malattia di Riina

Il collegio ritenne che non fosse emerso dalla decisione del giudice in che modo si fosse giunti a ritenere compatibile con il senso di umanità della pena "il mantenimento il carcere, in luogo della detenzione domiciliare, di un soggetto ultraottantenne affetto da duplice neoplasia renale, con una situazione neurologica altamente compromessa", che non riesce a stare seduto ed è esposto "in ragione di una grave cardiopatia ad eventi cardiovascolari infausti e non prevedibili".

Diritto di morire dignitosamente

La Cassazione ritenne, inoltre, di dover dissentire con l'ordinanza del tribunale, "dovendosi al contrario affermare l'esistenza di un diritto di morire dignitosamente" che deve essere assicurato al detenuto. Tanto più se la cella del carcere di Parma non può contenere un letto da degenza, come sottolineato dalla difesa, e anche di questo il giudice dovrà tenere conto.

Infine, ferma restano "l'altissima pericolosità" e l'indiscusso spessore criminale" il tribunale non ha chiarito "come tale pericolosità "possa e debba considerarsi attuale in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del più generale stato di decadimento fisico".

Ergastoli, bombe e Capaci

Totò Riina è il capo dei capi di Cosa Nostra, condannato a diversi ergastoli per le bombe negli anni del terrore degli attentati mafiosi e per la strage di Capaci.

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