Bagheria, boss in manette dopo la rivolta anti pizzo
ANSA/ Comando Provinciale Carabinieri Palermo/ Ufficio stampa
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Bagheria, boss in manette dopo la rivolta anti pizzo

Grazie alle denunce degli imprenditori ricattati, i carabinieri arrestano 22 responsabili del racket

Sono una cinquantina le estorsioni scoperte dai carabinieri, che hanno eseguito 22 provvedimenti cautelari a carico di boss ed estortori del mandamento mafioso di Bagheria (Palermo). Grazie alla dettagliata ricostruzione fornita da 36 imprenditori che hanno trovato il coraggio, dopo decenni di silenzio, di ribellarsi al giogo del "pizzo" è stato possibile tracciare la mappa del racket. Gli estortori colpivano a tappeto. Dall'edilizia a ogni attività economica locale che portasse guadagni: negozi di mobili e di abbigliamento, attivita' all'ingrosso di frutta e di pesce, bar, sale giochi, centri scommesse.

I tempi sono cambiati

"Trentasei imprenditori hanno ammesso di avere pagato il pizzo. Alcuni di loro sono stati sottoposti a vessazioni per anni. È la breccia che ha aperto la strada per assestare un nuovo colpo a Cosa nostra, segno che i tempi sono cambiati e che imprenditori e commercianti finalmente si ribellano". Così il colonnello Salvatore Altavilla, comandante del Reparto operativo dei carabinieri di Palermo, ha commentato il blitz dell'Arma contro la cosca di Bagheria. Dei 22 boss ed estorsori raggiunti dal provvedimento cautelare solo cinque erano liberi.

Cominciò a pagare in lire

Ha cominciato a pagare in lire (3 milioni al mese) alla "famiglia" mafiosa di Bagheria. Vent'anni di minacce e soprusi a cui un imprenditore bagherese ha deciso di ribellarsi. Per accontentare le richieste dei boss l'uomo è finito sul lastrico e ha dovuto chiudere l'attività. La vittima ha scelto di denunciare dopo anni di silenzio. La sua ribellione e quella di altri 35 commercianti e imprenditori segna una svolta nella lotta a Cosa nostra. L'indagine è il seguito di un'altra operazione messa a segno contro le cosche della cittadina alle porte del capoluogo, per anni feudo e rifugio, in latitanza, del padrino di Corleone Bernardo Provenzano. Fondamentali per ricostruire gli assetti del clan le dichiarazioni del pentito Sergio Flamia. Tra le "ordinarie" storie di violenza, scoperte dai carabinieri, anche quella che vede protagonista un funzionario comunale dell'Ufficio tecnico di Bagheria che avrebbe avuto contrasti con la cosca legati alla lottizzazione di alcune aree. Cosa nostra, nel 2004, gli ha incendiato la casa e sequestrato un collaboratore domestico.

Il sindaco: "Finalmente una città normale"

"Quanto ho auspicato, cioé una città normale basata sulla legalità, pian piano si sta realizzando. Il mio plauso va alle forze dell'ordine ma ancora di più ai 36 miei concittadini che hanno trovato il coraggio di denunciare, di non farsi intimidire, di voler lavorare serenamente nella legalità e senza gioghi". Così il sindaco di Bagheria Patrizio Cinque del M5s, commentando l'operazione della Dda e dei carabinieri di Palermo che ha portato a 22 arresti per estorsioni. "L'amministrazione sarà sempre dalla vostra parte con azioni concrete e non solo con le parole - dice il sindaco - È un momento importante per Bagheria che vede affermare la legalità sul crimine. Il mio appello va a tutti i cittadini: non ci fermiamo, continuiamo a perseguire, in qualsiasi campo, ciò che è giusto e legale per noi e per l'intera comunità".

Per l'assessore alle Attività produttive, Alessandro Tomasello "siamo di fronte ad una nuova era per la nostra città, un'epoca in cui tutti alziamo la testa e non sottostiamo a chi vuole solo il male di Bagheria e dei bagheresi per il proprio tornaconto personale". (ANSA).

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