Babele elettorale: partiti ancora ai nastri di partenza
ANSA/ALESSANDRO DI MEO
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Babele elettorale: partiti ancora ai nastri di partenza

Se tutto dovesse rimanere inalterato Berlusconi avrebbe in serbo una sorpresa: una Lista Bertolaso, collegata al centrodestra

Bisogna essere chiari: le forze politiche stanno cercando di produrre una legge elettorale che serva ai loro interessi e non ai cittadini che vorrebbero avere l’ultima parola. Questo principio vale per tutti: per il Pdl e per il Pd, vale per Vendola (oggi non rappresentato in Parlamento) e per Grillo (idem).

Faccio un esempio: Casini si è assunto il compito di salvare il soldato Fini dalla catastrofe perché rischia di non essere nemmeno eletto. Fini vorrebbe salire sul  gommone di una legge elettorale salva naufraghi, portandosi insieme quattro o cinque dei suoi. Dunque occorrerebbe un machiavello che permettesse di scongiurare l’estinzione totale del Fli e il machiavello va trovato nelle pieghe di una legge.

PD E PDL: OBIETTIVO SALVARSI LA PELLE.  Poi ci sono i due maggiori partiti: il Pdl travolto sia dallo scandalo della Regione Lazio che dalle minacce di scissione degli “aennini” guidati da Ignazio La Russa; e il Pdl dove la corsa alle primarie non fa che arricchirsi di nuovi concorrenti che corrono anche per conto terzi generando confusione e devastando l’immagine del partito, al di là dello scontro tra Bersani e Renzi e l’ambigua presenza di Vendola che non si decide mai a dire esattamente che cosa farà.

Ciò ha influenza sulla legge elettorale, perché Bersani, per fare un esempio, è tentatissimo dal lasciare in vita il Porcellum, ma non può dirlo perché formalmente è costretto a ripetere che la legge elettorale in vigore fa schifo e deve essere abbandonata. Del resto, anche nel Pd tira aria se non di scissione, almeno di lite profonda. Il 19 settembre gli esponenti del PD provenienti dai popolari, cioè i democristiani di sinistra, hanno detto di no alla candidatura di Vendola: non vogliono il leader del Sel alle loro primarie perché il programma dell’outsider pugliese è incompatibile con quello del loro partito, ma più che altro è incompatibile con la loro identità di cattolici. Si tratta di una frattura non molto diversa da quella che sta scompaginando la corrente ex An dal Pdl. E allora: che succede se queste separazioni andranno in porto? E che cosa se saranno scongiurate? Chi mandiamo in Parlamento? Chi garantiamo e chi escludiamo? Di questo si discute nelle segrete stanze. E poiché le stanze non sono così segrete e tutto trapela, si può anche garantire che per ora la legge non c’è e se si va avanti così si rischia di restare col Porcellum.

Chi vorrebbe abbandonare il Porcellum alle cure del macellaio, è però Silvio Berlusconi il quale si trova di fronte alla prospettiva di una sinistra egemone che prende il premio di maggioranza e domina da sola, lasciando il Pdl – oggi dato al 20-22 per cento – a dividersi le spoglie dei seggi rimanenti con la Lega, l’Idv e Casini. Non è un caso che lo stesso Berlusconi, quando gli hanno chiesto se intende o no correre di nuovo per la premiership, abbia risposto: “Bisogna prima vedere quale sarà la legge elettorale con cui si va a votare”.

La gente pensa probabilmente che i partiti discutano del diritto oggettivo degli elettori a scegliere i loro candidati, magari con il sistema delle preferenze aperto alla corruzione in metà del territorio nazionale. Ma è bene che sappiano che l’argomento è un altro: come salvare la pelle di chi già c’è, come salvare la pelle dei propri possibili alleati, come minacciare gli alleati riottosi, ridurre al minimo i danni derivati dall’arrivo del movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo, già colpito da rivelazioni imbarazzanti.

LEGGE ELETTORALE: DUE IPOTESI . Le leggi elettorali sono come le scarpe nuove: si provano e riprovano finché non si trovano quelle che calzano perfettamente. La nuova scarpa non deve stringere in punta, non deve lasciare la base troppo larga, deve avvolgere senza imporsi e permettere sia di camminare che di correre. E così la legge elettorale. Napolitano non  riesce a convincere tutti i suoi clienti a calzare un unico modello di legge elettorale e allora impone, con l’aiuto di Schifani e  Fini, una finzione scenica: l’accelerazione del nulla.

Ed ecco che di colpo i capigruppo dei partiti rappresentati in Senato hanno approvato un data ultimativa, quella di martedì 25 settembre, quando la Commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama si è impegnata a discutere una nuova legge elettorale impegnandosi portarla in aula in due settimane per vederla approvata con militare disciplina, prima di spedirla alla Camera. Detta così la notizia ha un falso suono rassicurante. Ottima intenzione: ma di quale legge elettorale stiamo parlando? La scatola è ancora vuota e nessuno lo sa. Ci sono i fiocchi, i nastri, le etichette, manca appena il contenuto.

Al Senato giacciono 41 diversi progetti di riforma elettorale. Una Babele. O, se si preferisce, un grande scaffale pieno di scarpe per tutti i gusti, taglie e occasioni mondane. Troppe per sceglierne uno solo. Per ora si fa strada l’ipotesi di una legge che sarebbe accettata da Pdl, Udc, Idv e Lega per un sistema proporzionale con sbarramento al 5 per cento. Lo stesso progetto prevede che un terzo dei parlamentari sia sottratto al rischioso giudizio degli elettori e sia bloccato dalle segreterie di partito e che il vincitore prenda un premio di maggioranza del dieci per cento.

A questa bozza ancora informe e incerta se ne contrappone una studiata dal Pd che vorrebbe premiare non il partito che prende più voti, ma la coalizione che prende più voti. Quando al resto, proporzionale ovunque, sbarramento al cinque e premio del 15 per cento al cartello vincente. E poi un sistema misto di collegi uninominali con spareggio testa a testa e liste bloccate che permettano ai capi partito di sistemare i loro candidati fedelissimi, sottraendoli al giudizio di Dio, anzi del popolo.

Da queste due bozze si capisce che comunque la si rigiri, la questione delle alleanze è prioritaria. Il Pd ha bisogno del premio di alleanza per poter fare massa e convincere i riottosi di sinistra. Il Pdl ha bisogno di esistere con una sua autonomia portando in Parlamento anche senatori e deputati che rischierebbero la bocciatura popolare.

TENTAZIONE BERTOLASO. Una curiosità non irrilevante: se per caso alla fine restasse il Porcellum per mancanza di un vincitore finale, allora Berlusconi sarebbe tentato di far correre Guido Bertolaso, ex capo della Protezione civile – oggi medico in Africa dove cura i malati di malaria cerebrale – a correre con una sua lista collegata che conterebbe sull’appoggio di tutta la rete della protezione civile.

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Paolo Guzzanti