Quattro chiacchiere con Micah P Hinson
Musica

Quattro chiacchiere con Micah P Hinson

La musica, la famiglia, Dio e i Coldplay. Qualche domanda a uno dei migliori cantautori folk della sua generazione

Tra un tiro di sigaretta (con bocchino) e l’altro Micah P Hinson ti sorprende con le parole che non ti aspettavi. Siamo al Circolo Magnolia, a Milano. Il cantautore texano ha finito i suoi preparativi per la serata. Sua moglie, che lo accompagna cantando e suonando la batteria, legge in un angolo, di fianco a lui.

Com’è stato registrare quest’ultimo disco, fatto di canzoni scritte prima dell’incidente d’auto che ha cambiato la tua vita, nel 2011?
Questo disco è pieno di pezzi che avevo scritto da anni, ma che non ero mai riuscito ad incastrare in un disegno d’insieme (che per me è un aspetto molto importante, quando devo decidere di registrare un album). Ma non credere a quelle stronzate che scrivono sulla blogosfera, quel posto in cui la gente pensa di vivere nel futuro: io avevo registrato le tracce di voce e chitarra prima di partire per il tour del 2011, che si è interrotto per quel terribile incidente d’auto in cui sono rimasto vivo per miracolo. La gente cerca di creare un mito attorno a me. È come quando esagerano i problemi che ho avuto da ragazzo pur di darsi facili spiegazioni.

L’incidente ti ha cambiato?
Sono stato per 18 minuti a testa in giù, bloccato nelle lamiere accartocciate, a pensare. Mi son detto: sono soddisfatto di ciò che ho fatto finora, ho lasciato una serie coerente di album, mia moglie se ne prenderà cura. Non so se sono cambiato come persona, ma di sicuro è diverso il mio modo di lavorare: voglio registrare più in fretta, non m’importa che nelle canzoni siano rimasti quelli che molti considerano errori, piccoli sbagli.

Tu canti quelle che per altri sarebbero solo bozze di canzoni.
Mi piace che le canzoni restino sospese, che possano significare qualcosa di diverso per ognuno. Non credo che sia un fatto di pigrizia, è che mi vengono così. A volte pubblico quella che è stata la registrazione di prova. Odio le rime, se le trovi è un caso. Sono d’accordo con Lou Reed quando diceva: “Non so da dove venga l’ispirazione, so solo che la canzone arriva e poco dopo, così com’era venuta, se ne va”.

Dici di non aver mai scritto una canzone allegra. Perché?
Credo che sia la disperazione a muovermi, a farmi sedere davanti alla macchina da scrivere. Sono i momenti in cui sento di avere qualcosa da tirar fuori.

E come ti senti dopo?
Non sei più così disperato perché hai creato qualcosa di nuovo, qualcosa che esiste fuori da te. Sei andato al fondo del dolore ma… è come guardarsi dopo che ti ha colpito un fulmine e scoprire che sei ancora vivo.   

Quando hai capito che questa sarebbe stata la tua vita?
Mi chiedo ogni dannato momento se sono un musicista, se è questa la vita che devo fare. Credo sia giusto così. È iniziato quando avevo 7-8 anni, quando giocavo con il pianoforte di mia nonna, che tenevamo in casa nostra. A un certo punto mi son detto una cosa che mi son portato dietro per anni: “Vorrei poter muovere qualcosa dentro al cuore della gente usando questo coso”. Non avevo la minima idea di come farlo. Anni dopo son diventato professionista: era un momento in cui ero come bloccato, non sapevo come uscirne. Mi ha chiamato un inglese che aveva sentito le mie canzoni. Mi offriva un contratto. Gli ho risposto: “Grazie, ma ho dei conti in sospeso con la giustizia. Se trovate un modo di farmi un passaporto e un biglietto, senza che io debba finire in prigione, per me va bene”.

Quello che volevi fare col pianoforte, commuovere. Forse è il motivo per cui esiste la musica.
È il problema che ho con molta musica pop di adesso. Non voglio dire cattiverie su altri, ma pensa ai Coldplay: il loro primo album era straordinario, c’era tutta la lotta interiore di un ragazzo che scriveva musica nella sua stanza. I dischi successivi, invece, sono tutti costruiti come se i Coldplay dovessero scrivere canzoni che aiutano la gente a non sentirsi sola. Invece di parlare della vita e di come si sentiva, Chris Martin ha iniziato a dire alla gente come si doveva sentire. Non puoi fare una cosa del genere.

Tu canti spesso di te, della tua famiglia, ma anche di politica e di religione.
Canto di cose molto strane, sì. Forse ho successo qui e in Spagna perché molti non capiscono quello che dico. Il fatto è che sono cresciuto in Texas, un posto molto religioso. Vado in chiesa con mia moglie e la mia famiglia, nella nostra Chiesa di Cristo. Ma vedo Dio in un modo mio: non credo che sia perfetto e che dobbiamo consumare la nostra vita cercando di raggiungere quella perfezione, è una battaglia persa.

A proposito di famiglia: le dai una priorità chiara, hai rifiutato offerte importanti pur di non trascurarla.
La direi così: non ho bisogno della musica, ma ho bisogno di mia moglie. Non avere rispetto di lei sarebbe non rispettare me stesso. Molti musicisti non sarebbero d’accordo, lo so, ma anche l’amore è creazione e sarei molto più triste se lo trascurassi. Non sarei all’altezza di ciò che voglio. È come con Dio: molti se ne fregano e per me va bene, ma credo che in questa vita non possiamo reggerci in piedi da soli. Molti musicisti sono così miseri, sono vuoti come un’auto rimasta senza benzina. Se morissi e mi dicessero “sai una cosa? Dio non c’era, era una fregatura” sarei contento comunque, perché crederci mi ha permesso di provare amore in questa vita.

Volevo chiederti se odi ancora Obama, che hai definito "una celebrity, non un presidente". Ma dopo quello che hai detto te lo risparmio. 
Grazie, apprezzo molto.

Micah P Hinson suona "This old guitar" di John Denver:

 

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Marco Pedersini

Giornalista. Si occupa di esteri. Talvolta di musica. 

Journalist. Based in Milan. Reporting on foreign affairs (and music, too). 

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