Katy Perry, il film: essere pop star è un sogno fondato sulla realtà
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Katy Perry, il film: essere pop star è un sogno fondato sulla realtà

Abbiamo visto al cinema "Katy Perry: Part of me", il film documentario che racconta tra musica, interviste e presa diretta, la vita di una cantante che dalla sua cameretta ha scalato il mondo. E una volta in vetta, ha visto che stare in equilibrio non è facile

Il pop non è solo "vestiamoci strano e mettiamoci una parrucca". Katy Perry è nei cinema in questi giorni (nei circuiti The Space di tutta italia) con il film/documentario "Katy Perry: Part of me", pellicola arrivata anche in Italia dopo il lancio del cinque luglio negli Stati Uniti (e in Inghilterra).

Un successo che si spiega non solo con la popolarità dell'artista (una delle pop star con uno degli album più "vivi" e con più singoli azzeccati degli ultimi anni, ci riferiamo naturalmente al suo "Teenage Dream"), ma per i contenuti. Adatti a chiunque, anche a chi non l'ha mai ascoltata e vuole togliersi qualche pregiudizio dalle scarpe.

L'artista, che si colloca sulla linea "Weird is OK (Strano, va bene)", è quella ragazza che fin da piccola cantava come una matta con le stesse espressioni e la stessa personalità di oggi, la ragazza che a 19 anni diceva danti a una telecamera amatoriale "Vorrei essere una lader, ma questo richiede molte responsabilità". Dai primi tentativi, alla strada incerta da seguire fino successo ottenuto con "I Kissed a Girl". Non è stata una passeggiata, ma un percorso di identità e di impegno difficile.

La ragazza colorata e "caramellosa" che vedete oggi è il frutto di cambiamenti, scelte, voglia di emergere e di farlo sul serio. Ma non è arrivato tutto subito, e di certo non è stato semplice. "Da quando avevo nove anni il mio sogno è sempre lo stesso", dice nella film, "stare sul palco in costume di glitter davanti a migliaia di persone che cantano con me". E ce l'ha fatta con un mood completamente diverso dalle sue colleghe Lady Gaga, RIhanna o la più confermata Madonna. È semplicemente se stessa.

Nata e cresciuta in una famiglia cristiana pentecostale, la famiglia mai avrebbe potuto pensare che la loro bambina avrebbe sgambettato per mezzo mondo in body cantando l'aver baciato una donna. "Non condivido tutto", racconta la mamma, "ma quello che è successo a mia figlia è una benedizione".

Il trasferimento a Los Angeles, la ricerca di un discografico che la producesse (lo stesso di Alanis Morissette, tra l'altro) e le desse l'opportunità di diventare qualcuno nel mondo della musica. Non manca niente, nemmeno i momenti più difficili, quando era disperatamente alla ricerca della sua identità. "Non voglio essere come un'altra. Voglio essere la prima Katy Perry". E così è stato.

Il racconto, che si intervalla con le parti più entusiasmanti del suo ultimo tour, si accompagna al racconto della storia d'amore con Russell Brand. Una relazione tenera, fatta di semplicità di fronte alle immense difficoltà di un mercato musicale che rende faticose le relazioni affettive, la progettualità.

Il percorso accompagna tutto il loro rapporto fino alla crisi e alla definitiva rottura, che arriva nelle battute finali del suo tour (praticamente un anno in giro per il mondo). Il suo sguardo perso nel vuoto, la crisi prima di salire sul palco, lei che piange fino a un secondo prima di salire in scena con un sorriso (forzato) stampato sul volto.

Sul finale dice una frase molto importante. "The bad that comes along with the good is a journey, and I've learned so much from that journey". Il bene e il male, i momenti infelici e disperati e quelli più belli arrivano e vanno nell'ottica di un viaggio, di un cambiamento di luoghi, persone, ma anche di età e di obiettivi. E in chiusura, come in un grande abbraccio, dice: "Faccio quello che amo. Devo solo ricordare a me stessa, ogni tanto, che sono davvero felice".

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