J-Ax: "Alla fine vincono i brutti" - Intervista
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J-Ax: "Alla fine vincono i brutti" - Intervista

Un best seller in classifica e "Voice of Italy": il momento d'oro di Alessandro Aleotti, ospite di Panorama d'Italia il 29 maggio a Varese

"Tutto ad un tratto mi ritrovo inondato di complimenti che arrivano da signore over 40, un target che all’improvviso trova affascinante uno come me, ricoperto di tatuaggi sulla testa e sul collo: è il potere afrodisiaco della tv. Questo aspetto della popolarità mi fa sorridere, anche perché io sono appagato sentimentalmente: ho una relazione che dura da 12 anni".

Gode del suo momento d’oro, J Ax, giudice di The Voice of Italy, il talent show in onda su Raidue dal 25 febbraio, e protagonista in classifica con un album che ha debuttato al primo posto conquistatando il disco di platino in meno di due settimane: Il titolo? Tutto un programma: Il bello di essere brutti.

J-Ax sarà a Panorama d'Italia il 29 maggio a Varese

Scusi, quale sarebbe il brutto di essere belli?

Ai veramente belli nessuno dice mai la verità, perché tutti vogliono qualcosa da loro. Non solo da un punto di vista sessuale. Nella nostra società la bellezza ha un valore e tutti vogliono appropriarsene, vogliono possederla, anche a costo di mentire.

Dietro il significato del titolo c’è invece il  racconto di una vita dove i perdenti, i nerd, quelli che partono con il piombo sulle ali, arrivano al traguardo da vincitori.

A scuola, ero quello bullizzato perché adoravo i computer e i fumetti e non il calcio o lo scooter. Io sono quello cresciuto in una frazione di 1738 abitanti, sono quello che veniva cacciato dalle discoteche perché sembravo un punkabbestia e dai centri sociali perché ero un tamarro. Ma, alla fine, ho vinto io.

Lei è nato a Milano: come ci è finito in una frazione della provincia?

A metà degli anni Settanta, Milano era una città pericolosa. Mia madre lavorava come cassiera in un supermercato che veniva rapinato una volta alla settimana. Per non parlare della violenza quotidiana legata alla politica. I miei decisero così di trasferirsi in provincia a due passi da San Giuliano Milanese. All’inizio degli Ottanta, quei paesini dell’hinterland iniziarono a popolarsi dei protagonisti del boom economico. Intorno a me c’erano ragazzini con lo scooter più bello,
i vestiti griffati. Per un po’ mi sono sentito povero e isolato.

Ha una carriera ventennale: è rimasto qualcosa di Alessandro Aleotti (il suo vero nome) oppure ormai è sempre calato nei panni di J-Ax?

Bisogna avere il senso della misura. La mia non è una storia di successo come quella degli U2 o di Madonna. La mia è una carriera che è andata in scena in una piccola provincia dell’impero occidentale: l’Italia. Il nostro mercato discografico è talmente risicato che anche il numero uno dovrebbe fare professione di umiltà. Fatta qualche eccezione melodica, la nostra musica non è esportabile. Non lo sono nemmeno le nostre rockstar più importanti.

Quindi, come si definirebbe?

Io sono un artigiano di successo famoso in Italia. Uno che comunque deve lavorare duro, perché in due anni potrebbe finire tutto. Non mi sono comprato Graceland come Elvis Presley. Diciamo anche che, in generale, i numeri del buisness discografico non sono più quelli di vent’anni fa. Ho un esempio che calza perfettamennte con questo discorso: nessuno si è accorto che nella prima settimana Il bello di essere brutti è entrato  al numero ventinove della classifica mondiale. E  dico mondiale. Significa che si vendono così pochi dischi a livello globale è che è stato sufficiente venderne tanti nei primi sette giorni in Italia per ottenere un risultato oggettivamente clamoroso.

Voice of Italy: c’è un momento che è passato alla storia, quello in cui ha preso coscienza che la voce straordinaria che stava ascoltando era di una suora, Suor Cristina

Come prevede il regolamento, io davo le spalle al palco. Dopo pochi istanti sento il pubblico che impazzisce per questa voce meravigliosa. Mi immagino sia di un bambino vocalmente molto dotato O, forse, di una bambina.

E invece...

Mi sono trovato davanti a Suor Cristina, una suora molto giovane. In un secondo ho realizzato che cosa sarebbe successo nel mondo dell’entertainment e ho pensato: questa volta facciamo la storia del costume e della televisione. Parleranno di noi anche in America.
E, infatti, è andata così. Ero talmente emozionato che mi sono messo a piangere.

Com’è stato fare il coach di una religiosa?

Ogni volta che mi scappava una parolaccia c’era, manco a farlo apposta, lei nei paraggi. Ero un po’ imbarazzato, ma lei faceva sempre finta di non sentire. Ci è capitato di discutere sulla scelte delle canzoni da portare in trasmissione. Alla fine, lei, con molta professionalità lasciava che fossi io
a decidere.

Intorno a Suor Cristina c’era uno staff di suore che la aiutava e la proteggeva dal gossip.

Erano fantastiche, si muovevano come se fossero la sua crew. In particolare sono diventato amico di Suor Agata,
la superiora. Uno spasso. Finita la trasmissione, le dicevo: allora sei pronta per la discoteca? Guarda che ho già prenotato un tavolo per noi due. Abbiamo riso davvero tanto.

Anche l’avventura di una casa discografica, la Newtopia, con Fedez, si è rivelata vincente.  
I nostri due dischi, entrambi entrati al primo posto, dicono che abbiamo fatto la cosa giusta. Perchè abbiamo deciso, andando controcorrente, di investire
sul prodotto disco: qualità della musica e cura maniacale della copertina

Affinità e divergenze con Fedez.

Abbiamo gusti musicali simili. Per il resto, siamo speculari: lui non fida per niente, io mi fido tanto, quando lui ha fretta, io vado tranquillo. Eppure, non litighiamo mai.                                          

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Gianni Poglio